giovedì 16 agosto 2012

Pellegrini dell'incompiuto

Pellegrinaggio diocesano: una pacchia per il seminarista! C’è dentro un po’ tutto: preghiera, servizi & animazione liturgica, cultura, chiacchiere, convivialità. E poi, se i pellegrini sono âgées, fioccano apprezzamenti, sorrisi, commozione, richieste di preghiera..insomma, un toccasana per l’autostima e la categoria. Ci scappa sempre qualche: “..siete anche de’ be’ ragazzi..”, “..ti s’aspetta in parrocchia!”, “quando canti messa vengo anch’io..”. Insomma, non manca proprio nulla. C’è il rischio, però, che il pellegrinaggio funzioni davvero, specialmente se si toccano luoghi speciali, come quelli attraversati dal recente Pellegrinaggio diocesano. Insieme ad un centinaio di pellegrini pistoiesi (e non) abbiamo infatti attraversato Israele, Giordania ed Egitto, fino al monte Sinai, sostando nei luoghi nevralgici dell’antico e del nuovo testamento. Ci ha guidato il Vescovo Mansueto Bianchi e tre sacerdoti che ricordiamo per dovere di cronaca, ma soprattutto per ringraziarli: don Piergiorgio Baronti, don Piero Vannelli e don Tommaso Chalupczak.

Nazareth, musulmani in preghiera nei pressi della Basilica della Natività
Viaggiare da seminaristi, come illustrato, non manca di pregi, ma dietro tanto entusiasmo si manifesta in realtà una grande aspettativa. Viene spontaneo domandarsi “Cosa si aspetterà la gente (e/o il vescovo) da uno come me?”. Ma occorre, si scopre, essere più precisi: “Che cosa vuole il Signore da me?”. 
A Nazareth e sul Lago di Tiberiade c’è l’esperienza di Gesù nel nascondimento del suo paese, nella predicazione e nei segni lungo il lago. E’ un luogo ideale per porsi seri interrogativi vocazionali. Oggi però, non è facile trovare a Nazareth le concentrazione favorevole, né recuperare il fascino romantico e il mito un po’ piccolo borghese della famiglia artigiana che dalle stampe ottocentesche si è propagato fino all’iconografia popolare. Di notte, lungo la via principale, il traffico è caotico: sono per lo più giovani, svagati e divertiti tra musica, facebook e localini come i coetanei delle nostre città. Ma c’è anche la preghiera islamica in un’assemblea affollata a due passi dalla Basilica dell’Annunciazione. E’ l’ambiguità su cui si gioca il futuro di molti paesi in bilico tra il “secolo” e il fondamentalismo. Si fatica ad immaginare in questo luogo la famiglia di Nazareth: oggi, inoltre, le città del mondo si assomigliano sempre di più. Ma duemila anni fa, in fin dei conti, anche i nazaretani fecero fatica a riconoscere il Messia. Qui lo stesso Gesù si aspettava il rifiuto. A Nazareth Dio si è fatto davvero piccolo e nascosto, verbo minimo più che abbreviato, almeno nei trent’anni che precedono la vita pubblica. 
Quando arrivò qui Charles de Foucauld il villaggio di Galilea poteva ancora assomigliare ad un presepe di cartapesta, ma la novità suscitata dallo Spirito trasformò l’ex-militare scavezzacollo in un maestro di spiritualità: “Per ciò che riguarda il raccoglimento, è l’amore che deve mantenerti in comunione con me e non l’allontanamento dai miei figli: vedimi in loro; e come io ho fatto a Nazareth, vivi tra di loro, assorto in Dio”.

Tabga, Chiesa del Primato, una delle "Pietre dei Cristiani".
Vivere tra di loro..”. Non  è mica semplice. Eppure la gente comune ha bisogno di conoscere Dio, di saperlo e sentirlo vicino. Fioccano le domande per i seminaristi, soprattutto quelle semplici e quasi toccanti nel loro candore sulla vita di Gesù. Non basterebbe questo per giustificare un pellegrinaggio in Terra Santa? Non è forse un’occasione preziosa per entrare nelle esigenze concrete della gente? Ma noi crediamo spesso di sapere tutto, o almeno quanto basta per stare tranquilli in un mondo autoreferenziale ed ovattato. E in effetti, nonostante le dritte di Charles de Foucauld, anche la Terra Santa immaginaria scivola tra le fascinazioni archeo-politiche e l’oleografia del presepe della nonna. La nostra fede scivola spesso in questa geografia immaginaria e a-problematica. Sul monte delle Beatitudini, invece, Gesù rovescia le prospettive del mondo e i suoi accomodamenti. Con le Beatitudini, ci ha ricordato lì il vescovo, Gesù scombina persino il modello legalistico del decalogo, ma lo assume, per darne compimento nell’ottica della fragilità umana. In quel discorso non è centrale l’osservanza spinta all’eroismo, ma la fragilità raggiunta dall’amore di Dio.
Giordania, Petra, il "Tempio del Tesoro" (foto di Gianni)
Il nostro pellegrinaggio dirotta dalla Terra Santa per puntare nella vicina Giordania: prima presso i resti e le rovine dell’estesa città di Gerasa -all’epoca di Gesù florida per i commerci, oggi per il turismo internazionale- poi a sud, nel roccioso deserto giordano, dove è nascosta la città di Petra. 
Qui il tempo resta l’architetto principale. Il calice dell’immortalità evocato dalle avventure di Indiana Jones non ha toccato la città degli uomini, che dopo i fasti antichi si è consumata nella sabbia, mentre quella dei morti, affollata di vuote tombe monumentali, combatte con il tempo sulla lunga distanza. L’ansia di immortalità non ha preservato questi luoghi dalla rovina e dell’incompiutezza che ne assicura il fascino ed è cifra dell’umano. A metà strada, in Giordania, il Monte Nebo ce ne ha parlato attraverso le parole del vescovo Bianchi.


Giordania, Petra, il canyon del Siq

«Questo è il paese per il quale io ho giurato ad Abramo, a Isacco e a Giacobbe: Io lo darò alla tua discendenza. Te l'ho fatto vedere con i tuoi occhi, ma tu non vi entrerai!». Mosè, servo del Signore, morì in quel luogo, nel paese di Moab, secondo l'ordine del Signore.

Giordania, Panorama dal monte Nebo
Il brano del Deuteronomio – ha commentato il vescovo - ci sgomenta, ma ci riconduce alla caratteristica propria dell’uomo. Solo Dio può colmare la misura, soltanto in Lui l’incompiutezza non trascolora in disperazione, ma si apre alla visione che consegna la speranza. L’incompiutezza non restringe l’orizzonte, bensì lo spalanca oltre la nostra misura. Anche il Seminario sembrerebbe restringerlo. Si entra pieni di entusiasmo e progetti..poi il “deserto” riporta con  i piedi per terra, alle esigenze primarie, spirituali e non. Durante la messa sul monte anche i buoni propositi di chierichetti modello svaniscono in un baleno. Sembravamo ferrati in tutto: ampolline, canti e campanelli..ma l’essenziale era altrove! Siamo davvero incompiuti, ma prenderne consapevolezza è già caparra di salvezza. Forse è per questo che dalla cima del Nebo il panorama è così emozionante, anche se la personale terra promessa non coincide con quella che si stende davanti fino a perdersi nella foschia.

In Giordania i pellegrini si dividono: un gruppo torna in Israele, attraverso il deserto, la Samaria, fino a Gerusalemme, un gruppo più folto si spinge fino ad Aqaba, in quella striscia di terra affacciata sul mar Rosso e oggi spartita tra Arabia Saudita, Giordania, Israele ed Egitto. Le sollecitazioni vacanziere del mar Rosso stordiscono anche i seminaristi che pure tentano a più riprese di coinvolgere i pellegrini e imparare qualcosa. Ancora una volta, però, si scoprono più poveri: manca, infatti, il messale per la messa domenicale, difettano pure pane e vino. Le risorse digitali sono insufficienti e incombono i controlli di frontiera.
Egitto, Sinai, il deserto delle Gazzelle
E’ il momento del viaggio attraverso il deserto del Sinai, fino al monastero di Santa Caterina. Dopo una rapida visita al monastero si celebra la messa adeguando per quanto possibile un salone impolverato dell’albergo. E’ una messa minimale, ma forse la più bella del viaggio. Se l’i-pad resta problematico ai liturgisti del terzo millennio i seminaristi si accontentano di un messale-quadernetto a righe, con orazioni scritte a lapis. 
Dalla cucina ci arriva il pane arabo, un pane azzimo che assomiglia – almeno così ce lo immaginiamo – a quello spezzato nell’ultima cena. Al crepuscolo, nella valle tra le rocce del Sinai, il miracolo si rinnova ed il pane arabo si trasforma in pane di vita. E’ pane che sazia la fame che mai abbandona l’uomo, neppure quello satollo di beni o di desideri mondani. 
Il vescovo ci parla di questa fame, un fame di Dio radicata in ogni cuore umano. Il deserto propone con forza questa esigenza primaria. Chi lo attraversa misura la potenza vivificante dell’acqua che suscita erba, alberi e frutti tra le rocce e la sabbia. Ma si comprendono meglio anche le parole dei salmi che cantano la fame e la sete e la forza delle esperienze vitali come l’attesa dell’alba, il calore del mezzogiorno, la custodia dell’ombra. Il deserto riporta all’essenziale e fa rivolgere lo sguardo al cielo: sete, fatica, stupore, desiderio, fragilità, ma anche la capacità di vedere lo sconfinato, proiettarsi su unità di misura millenarie, meditare ogni cosa e l’infinito..sono le esperienze originarie che allontanano dal ripiegamento su sé stessi e conducono sulla soglia della preghiera.
Qui si misura il senso della vocazione e il valore delle scelte fondamentali. La questione cruciale -il “caso serio”- può essere svilito e conoscere distrazioni e cadute. Ma è capitato anche a Mosè, che appena sceso dal Sinai ha mandato tutto a pezzi e ha dovuto nuovamente risalire.
Egitto, Notte sul Sinai

Egitto, Alba sulla cima del Sinai (foto di Gianni)
La salita al santo Monte occupa tutta la notte. Il percorso è lungo e faticoso, specialmente l’ultimo e scosceso tratto. Su per il sentiero rischiarato dalla luce lunare però, si ha l’impressione di accompagnare i magi con il loro corteo di tesori e cammelli e, con gli occhi puntati al limpido cielo stellato, si impara che cosa significa essere guidati da una stella. Poi, per fortuna, attorno ai 2000 metri, ci sono anche le soste alle tende beduine dove ciò che è utopia al mercato di Pistoia, come scambiare 50 euro in spiccioli, si rivela possibile. L’ultimo tratto, carichi di monetine e un po’ infreddoliti, è appena rischiarato dalle luci dell’alba. Sulla cima si comincia ad avvertire la fatica (ma forse non la avvertono don Piero Vannelli e alcune eroiche pellegrine ottuagenarie) e a misurare la maestà di Dio che all’alba si rivela davvero sulla cima del monte, quando si accendono di luce le rocce e il cielo si imbianca. C’è un mondo davanti, che si estende a perdita d’occhio e su cui si lanciano i primi raggi di sole. Avverti subito il tepore sulla pelle e la forza della legge cosmica che uguaglia buoni e cattivi, ti interpella e ti supera.

Betlemme, ingresso alla Basilica della Natività
A Betlemme la minuscola porta della Basilica suggerisce che occorre farsi piccoli per entrare nel Regno dei Cieli. A modo loro ci provano anche i seminaristi, che  in stile Zecchino d’Oro animano di canti natalizi la liturgia. Però è bello. Qualcosa (forse Qualcuno) tocca il cuore in questi momenti di preghiera semplice e condivisa. E’ la festa della Trasfigurazione, ma durante l’omelia del vescovo si scopre che ne esistono almeno altre due. C’è la trasfigurazione di Dio nell’umiltà della Natività a Betlemme e quella nella Gloria decisiva della Resurrezione: sono gli altri due momenti in cui Dio si rivela e mostra in piena luce e trasparenza chi è davvero.

Il ritorno a Gerusalemme riunisce i pellegrini che si ritrovano tutti al Santo Sepolcro. I seminaristi si decidono per una visita lampo avanti la chiusura. Occorre una marcia olimpionica per le strade della città vecchia tra ragguagli nel percorso, sosia del Messia, drappelli di militi e ragazzini arabi. Una volta arrivati però, c’è tempo per una sosta tranquilla. La sera, infatti, quando non circolano i gruppi di turisti e di devoti anche il Santo Sepolcro diventa un luogo silenzioso e dimesso. Nel luogo più santo della cristianità non c’è lustro di marmi, né venditori di gadgets come nei nostri santuari, ma neppure il continuo occhieggiarsi dei diversi cristiani. L’oscurità porta il silenzio nella complessa e stratificata geometria della basilica. Si può ben pregare su quest’ora, nel sepolcro e sul Golgota, in ginocchio, uno accanto all’altro.

Gerusalemme, Basilica del Santo Sepolcro, Cappella del Golgota
Egeria, pellegrina spagnola che nel IV secolo redasse un celebre diario di viaggio, fervente di pii desideri, cercava in questi luoghi la conferma tangibile alle parole della Bibbia. Arrivato l’islam, dopo secoli di lontananza, quando i crociati ricostruirono questa Basilica, i luoghi santi acquistarono una forza di suggestione tutta terrena, in buona parte sincera, ma anche manipolabile. Poi la Terra Santa è stata esportata fin nella sua concretezza, di reliquie e architetture, nei regni d’Occidente. Con il tempo è stata tradotta in una geografia intima, che si dipanava -come ci ha insegnato San Francesco - nelle ore del giorno e nei luoghi della quotidianità. Sul Golgota la prossimità dei fratelli di seminario (e non solo), inginocchiati gomito a gomito, feconda un’esperienza che non resta emozionale. Non nelle pietre, ma nella carne, nei cuori e nella mente dei fratelli calpestiamo luoghi santi, in cui occorrerebbe, talvolta, slacciarsi i sandali come Mosè davanti al roveto. Prossimità che passa anche per le tensioni meschine tra i cristiani che si spartiscono la basilica e gli eccessi dei frati più maneschi. Anche queste sono ferite che Gesù ha portato con sé sulla croce e che indicano la faticosa ascesa della conversione. C’è però un fatto che ribalta ogni cosa, vince il peccato e azzera ogni dolore. La Resurrezione cambia tutto. Il risorto è la chiave di volta del nostro credere. La fede e l’amore sono le due gambe che ci fanno correre nella sequela, che rendono possibile la vita alla luce della gioia della Resurrezione. Parole che siglano l’omelia del vescovo nel Santo Sepolcro e che chiudono al rilancio il pellegrinaggio. 
La terra promessa, la terra santa di Gesù è ancora oggi terra contesa tra i popoli e i figli di Abramo, dove la storia e l’archeologia riaccendono divisioni e violenze. Ma questa terra rimanda con decisione alla terra degli uomini, agli spazi del cuore e dell’agire che non hanno confine.