Ecco un affresco dai toni delicati e luminoso nei colori, così vario di particolari, creature celesti e terresti che è un piacere guardarlo e perdercisi dentro. Cielo e terra si confondono. Siamo in terra o in qualche angolo di paradiso? Drappelli di angeli camerieri scendono a recare brocche, vassoi di primizie, poponi, pane e frutta. Paffuti angioletti, paggetti celesti educati e dalle vesti ricercate sono distribuiti su tutta la parete di fondo dell’Aula Magna del Seminario di Firenze, un tempo refettorio delle monache carmelitane di San Frediano. Cristo è al centro, seduto ad una mensa improvvisata ma imbandita a dovere.
L’affresco, che copre tutta la parete di fondo del refettorio, è opera di Bernardino Poccetti (1548-1612), fiorentino doc, che aveva casa e bottega in San Frediano e che del quartiere amava frequentare soprattutto le bettole e i suoi clienti. Alle tavole imbandite alle bevande doveva dunque essere avvezzo, anche se nel dipinto emerge una sensibilità ben diversa. “Non si vede fra quanto partorì la natura, come frutte, fiori, erbe, campagne, boschi, animali, e uomini, cos’alcuna ch’egli non abbia voluto imitare; e quel ch’è più, con tanta bravura, con una certa, per così dire, pittoresca vena, con una facilità, e con un tocco così spiritoso, che è una meraviglia a vedersi” (F. Baldinucci, Notizie de’ professori del Disegno da Cimabue in qua. In Opere, vol. VIII, ed. Milano 1811, p.469). Vertici e bassezze di un pittore, così umano e pronto a ingaglioffirsi, ma anche tanto dedito alla pittura da saltare sempre il pranzo per continuare il lavoro iniziato e sprezzare il denaro e gli onori.
Ma cosa raffigura precisamente l’affresco?
Ce lo racconta il Vangelo della I domenica di Quaresima: “In quel tempo, Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo. Dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame” (Mt, 4,1). Lui, Gesù, figlio del falegname, cerca finalmente sollievo dal morso della fame. Il Figlio di Dio, in cui il Padre si è compiaciuto, è servito dalle schiere degli angeli. Una beatitudine e una dolcezza di paradiso scendono sulla terra, coinvolgono anche gli animali: il lupo è mansueto, tra l’erba i conigli si avvicinano al Signore, un cervo si erge maestoso in secondo piano, pappagalli grandi e colorati aggiungono un tocco esotico alla scena.
L’austerità dei quaranta giorni sembra quasi stonata rispetto all’atmosfera cordiale e accattivante dell’affresco. Il nostro digiuno non è fine a sé stesso, ma per una vita piena perché ordinata a Dio, lieta perché possiede l’essenziale. Non è tempo di tristezza la Quaresima. Anche questo dipinto aiuta a ricordarcelo.
La tentazione, qui raffigurata in secondo piano, a sinistra, nel momento in cui il diavolo invita Gesù a trasformare le pietre in pani, è superata dalla risposta biblica, secca e decisa con cui Gesù rilancia al tentatore: “non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”. E’ il leit-motiv del vita monastica nel refettorio: mensa comune, frugalità, ascolto della Parola.
Se scegliamo Dio prima delle cose di questo mondo, da Dio riceveremo doni di grazia, anche in mezzo alle tribolazione e alle sofferenze, ci verrà fatto sperimentare un angolo di paradiso -quello perduto da Adamo ed Eva- già sulla terra. L’episodio della Genesi, infatti, ci rivela che riconoscere la propria miseria e il proprio peccato fa sentire poveri e nudi. Appena mangiato il frutto proibito “si aprirono gli occhi di tutti e due e conobbero di essere nudi”. Abbiamo bisogno di Dio che ci offra vesti nuove per riconsegnarci la dignità e comprendere il nostro posto nel creato e nella storia.
Tutti i grandi santi hanno sperimentato la “notte” della tentazione, la coscienza, sempre più acuta del proprio peccato, una nuda aridità. E’ un cammino doloroso di purificazione che li ha condotti al vero centro del loro essere, per fare la piena scoperta di sé in Dio e raggiungere la vocazione piena e singolare nella perdita di sé stessi.
E’ quello che è capitato anche a Santa Maria Maddalena de’ Pazzi. La sua prova si protrasse per cinque anni di attraversati da sofferenze e tentazioni di ogni tipo. Il coltello posato in evidenza sulla mensa di Cristo, nell’affresco del Poccetti, ci ricorda un episodio in particolare: “sopragiunta da gravissima tentazione di farsi male da se stessa, se ne andò in refettorio: dove prese un coltello, e ritornata in Coro, pure in ratto, salì sopra l’altare della Santa Vergine, e nelle mani di li lei il collocò, per ottener grazie di vincere al tentazione”.
Superata la prova, il suo terribile “lago dei leoni”, il momento della rivincita è gaio e ricco di doni di grazia come la scena dipinta in seminario: “Divenuta in volto più gioconda, e splendente che mai, per l’immensa allegrezza di cui si trovava ripiena, eccitata dalla vista di quelle’anime beate, non poteva contenersi di non esultare con loro. Onde ancor’ella stando in piedi, con gratiosa maniera ballava, e saltava e faceva gesti, che mostravano la letizia del suo cuore; ma però erano congiunti con modestia tale, che solo non provocavano à dissoluzione, disse: io voglio andare in tutti quei luoghi, dove il mio avversario hà cercata di volermi offendere, per confonderle con tutte le sue doppiezze. Perciò andò in molti luoghi del Munisterio, dove specialmente era stata travagliata, e tormentata dal demonio; e quivi faceva gran festa, ballando & esultando come Angiolo celeste”.
Quanto chiede il salmo: “rendimi la gioia della tua salvezza, sostienimi con uno spirito generoso. Signore, apri le mie labbra e la mia bocca proclami la tua lode”, il Signore ce lo rende davvero. Il tempo della Quaresima è dunque tempo propizio: “il nostro progresso si compie attraverso la tentazione. Nessuno può conoscere se stesso, se non è tentato, né può essere coronato senza aver vinto, né può vincere senza combattere, ma il combattimento suppone un nemico, una prova” (Sant’Agostino, Commento ai Salmi, lettura dall’Ufficio della 1° domenica di Quaresima).
Sintetizza con efficacia il prefazio: “Egli consacrò l’istituzione del tempo penitenziale con il digiuno di quaranta giorni, e vincendo le insidie dell’antico tentatore ci insegnò a dominare le seduzioni del peccato, perché celebrando con spirito rinnovato il mistero pasquale possiamo giungere alla Pasqua eterna”.
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