venerdì 25 settembre 2015

Considerazioni all’inizio del nuovo ed ultimo anno di Seminario


Quando ho iniziato quattro anni fa, non credevo che tutto finisse così presto.

A dire il vero certe volte è stato così lento e duro il passare del tempo che avrei voluto essere trasportato direttamente al giorno dell’ordinazione (perlomeno quella diaconale…) perché la vita del seminarista, anche se non sembra, è un po’ difficile; soprattutto per chi è in là con gli anni come il sottoscritto. Ma va bene così, perché non si può diventare preti a buon mercato.

Avvicinandosi il primo giorno del quinto anno di Teologia, sono principalmente due le cose sulle quali convergono i miei pensieri. Anzi tre.

La prima è iniziare il mio ultimo anno, non nel seminario di Firenze in cui sono stato insieme ai miei compagni per quattro anni, ma nel seminario di Pistoia. Un seminario a Quarrata, praticamente vivendo in casa del nostro rettore e all’interno di una realtà parrocchiale… Roba da far accapponare la pelle. Dopo che il vescovo Fausto ha preso questa importante decisione, ho sentito un brivido dietro la schiena, quello tipico che ti prende quando lasci una strada sicura per qualcosa che inizialmente non è certo, ma che poi, consegnandosi a chi ti guida, si può rivelare un percorso ancora più ricco e bello del precedente.

Poi a me, si sa, piacciono le storie di avventure incredibili.

La seconda cosa riguarda il mio servizio pastorale. Chissà cosa mi diranno di fare, vivendo anche nel trambusto di un trasloco e cercando di riorganizzare insieme (e da capo) un nuovo seminario in diocesi. Staremo a vedere. E lo dico con tutta quanta la serenità del mondo, perché ormai son certo che qualunque cosa accada casco sul morbido.

La terza cosa è che la mente viaggia; nel senso che, un anno, fa in fretta a passare. E poi? Se ci penso mi viene altri brividi. La cosa che mi tranquillizza è come dicevo prima, la sicurezza di cascare sul morbido. Questo perché l’anno scorso, come servizio pastorale, ho accompagnato il vescovo in vari posti e in varie parrocchie. Qualche volta sono potuto anche restare agli incontri con le comunità parrocchiali dove presentavano le varie opere pastorali. Quello che la gente riesce a fare partendo dal proprio desiderio. Mi sono felicemente accorto che la Chiesa che è in Pistoia, non è sterile. Anzi. E’ feconda come non lo avrei mai immaginato. Piccole opere fatte col cuore, nel dedicarsi ai giovani, agli anziani ed ai malati, agli stranieri, alle persone in difficoltà economica ma anche in difficoltà umane e spirituali, quelle che fanno piangere la notte quando nessuno ti vede. Il tutto svolto nel più completo silenzio, nel soffio di una brezza leggera.

Che bella la Chiesa. Penso alla fedeltà di chi confessa da anni nella propria parrocchia magari sentendo sempre le stesse cose, o magari come chi confessa in cattedrale nel buio confessionale, senza neppure vedere la faccia di chi ti si inginocchia di lato e senza sapere se alla fine ti regalerà o meno un sorriso per quello che gli hai detto; penso a chi nelle fredde notti si alza per portare una parola di conforto e di speranza a chi sta per vedere il volto di Dio ed a chi non lo vede per nulla, o chi nel più caldo dei giorni cammina per due miglia o tre con chi si sente solo; penso a chi tira fuori dal proprio portafoglio i soldi per aiutare un padre di famiglia che non arriva a fine mese. Tutto nella certezza che il mondo, infine, non viene salvato da noi. Che bella la Chiesa. Quella vera, quella silenziosa, quella che non recrimina niente e che non si aspetta niente in cambio, quella feconda che ancora oggi ha da dire molto alla gente. A tutti.

Mi sono accorto che tutto questo è portato avanti da preti che sono pieni di limiti come tutti gli esseri umani, ma nonostante le proprie povertà hanno tutti un dono diverso, come ci dice anche san Paolo. Questo è veramente interessante. Tutti non fanno tutto, non possono. Anche quello più lontano da te per carattere, ha qualcosa che ti può dire, insegnare. Uno magari è portato per stare a contatto con i malati, un altro con i giovani, un altro è bravo con le famiglie, un altro per la catechesi. Il volto di Cristo traspare dalle loro persone in molti modi, tutti diversi, tutti interessanti. Ho capito che non c’è un solo modo di fare Chiesa, ma è necessario fissare lo sguardo nei suoi occhi, sennò tutto diventa frammentato. Mi viene in mente il mantello di Cristo, senza cuciture, fatto da fili diversi; ma chiunque lo toccava riconosceva la persona e veniva guarito, come la donna che non smetteva di sanguinare.

Casco sul morbido. La destinazione per un prete è quello che fa più paura perché non sa quello che trova. Spesso si vede solo la melma. Ma se ovunque c’è oro sotto la melma basta solo sporcarsi le mani e tirarlo fuori. Basta affidarsi. Ovunque mi sarà detto di andare nel prossimo futuro, dovrò solo preoccuparmi di portare la mia umanità, povera e piena di limiti, e lasciarmi sorprendere in ogni istante da Cristo che mi viene incontro nel volto di chi ho davanti. Ultimo ed emarginato, ricco o povero, di un altro prete o vescovo che sia.

E questo è davvero una vertigine.
 
Gianni