venerdì 17 aprile 2020

Due o tre cose per una Covid-19 Playlist (tk1)

La quarantena forzata da coronavirus apre spazi di riflessione inediti.
Arriverà il momento in cui saremo più lucidi e più in grado di tirare qualche conclusione su questo dramma planetario. Al momento epidemiologi, esperti tuttologi, complottisti di tutti gli schieramenti si dedicano a dire la propria sul virus, i suoi effetti, la sua origine, le cause nascoste e quello che nessuno ti avrebbe mai detto. Si intrecciano senza dubbio dinamiche che nulla hanno a che fare con i virus, come la politica o la finanza.

Ho l’impressione però, che ci sia un baco in tutto questa matassa di discussioni: il bisogno profondo di trovare il colpevole, di snidare il nemico. Una volta trovato, più o meno a ragione, la coscienza si acquieta, il dramma si scioglie, la realtà si semplifica.  E invece è l’occasione buona per mettersi in discussione. Forse, per mettere in discussione tutto un sistema.

Neil Young ne è convinto e lo ha messo in musica in un pezzo del suo ultimo album “Colorado”. Il brano, che è in realtà ispirato ai temi del climate change, e alla necessità di una nuova sensibilità ecologica, è intitolato “Shut It Down” ed è stato accompagnato in quattro e quattr’otto, ormai in piena crisi Covid-19, da un video diretto dallo stesso Young e dalla moglie.

Nel video c’è anche il papa nella piazza San Pietro deserta, la Roma deserta causa lockdown e i delfini che guizzano nel porto di Cagliari. Un video decisamente suggestivo con un testo mordace:

Devi chiudere l'intero sistema / La gente cerca di salvare questa Terra da una morte terribile / La gente cerca di vivere in un mondo che affronta questa minaccia... devi chiudere l'intero sistema / È il solo modo in cui possiamo essere liberi / Devi chiudere l'intero sistema / Ricominciare e ricostruirlo per l'eternità


Le immagini del video danno il senso della dimensione planetaria dell’epidemia. Eppure non è la prima volta che una malattia mette in crisi l’umanità: la spagnola ce lo ricorda, come la peste bubbonica o il raffreddore che sterminò più indigeni delle spade dei conquistadores. Siamo fragili e questo dato di fatto infastidisce. Fare i conti con l’umano per quello che è, cioè vulnerabilità, mortalità e allo stesso tempo, desiderio infinito, apertura oltre se stesso, è un dato di fatto da tenere presente.

C’è infatti un video molto bello e surreale che parla della morte.
Un uomo sul letto di morte, con tanto di prete per la benedizione, che pure è lasciato solo nel momento decisivo. Il filmato racconta con delicatezza lo sgomento di fronte alla morte oggi tanto diffuso. La morte è dovunque sui nostri schermi, ma quando si presenta per davvero facciamo di tutto per negarla.


Nel video una bambina (la nipotina) si avvicina al capezzale e …prende il via un viaggio straordinario. Il video accompagna il pezzo della band statunitense Khruangbin e si intitola “Como te Quiero”. È stato realizzato da uno studio di animazione di Mexico City e prova a tradurre in immagini il ricordo del proprio nonno a cui la bassista della band, Laura Lee, era molto legata. Il nome del gruppo è una parola tailandese che significa “cosa, oggetto, volante”..non manca il riferimento nel video.

La quarantena da Coronavirus ci chiede di fare i conti con la paura e la solitudine. Chiusi nelle nostre case, sentiamo che quello di cui abbiamo bisogno  non si acquista, ma manca più di ogni altra cosa. È la concretezza dell’amore, dell’ascolto, della prossimità fatta di carne e ossa. C’è un video stupendo che può raccontare meglio di tante parole lo smarrimento di chi si sente isolato.


Il video  ha segnato il ritorno sulle scene dei Portishead, celebre band di trip-hop guidata dalla glaciale e tagliente voce di Beth Gibbons. Il brano è, in realtà, per quanto irriconoscibile, una cover di SOS degli ABBA. I lampeggiamenti nel video traducono nel linguaggio morse proprio la richiesta di aiuto “sos”. Ma è soprattutto il finale a impressionare e “bucare” decisamente lo schermo.  C’è anche, in più, una citazione della parlamentare laburista inglese Jo Cox, assassinata da un neonazista nel 2016. La citazione, suona estremamente attuale oggi che il mondo intero si è fermato per la pandemia: «Abbiamo molto più in comune di quello che ci divide».

L’isolamento ci stringe in uno spazio ristretto, ben più angusto delle quattro mura di casa. Uno spazio colmo di domande e di pensieri che si rincorrono. Il senso claustrofobico del prolungato lockdown è restituito con grande efficacia in un video realizzato dagli italiani “Corteccia”, che sono poi Pietro Puccio e Simone Pirovano. Nel 2020 hanno pubblicato un album dal titolo quantomeno sofisticato: “Quadrilogia degli stati d’animo”, perché composto da quattro brani (ognuno accompagnato da un videoclip) dedicati rispettivamente alle ossessioni, al sentirsi estraniati dagli altri, alla frustrazione di «tenersi dentro pensieri e parole», al sollievo dopo le difficoltà.


Il titolo del brano è infatti “Il silenzio danneggia” e descrive lo stato d’animo della frustrazione dovuta all’incomunicabilità parlando della “fatica” del silenzio, del non potersi muovere, del non saper ascoltare. Vale la pena pensarci nel tempo in cui smessaggiamo di continuo ma in cui ci sentiamo soli e, come recitano le parole del video, «Non so ancora accogliere le risposte, non so ancora comprendere le risposte».
Il video, per la regia di Margherita Loba Amadio è davvero riuscito.

Al tempo del Covid-19 dice la sua anche Giovanni Lindo Ferretti, che riemerge dal suo “eremo” appenninico per affidare alla melodia di un vecchio brano dei CSI (La lune du Prajou) una sua breve e tagliente riflessione che tocca il tema del tempo.
Il ritornello di questi ultimi giorni è infatti il calendario delle tappe per il dopo lockdown: conto alla rovescia, calcolo probabilistico, una contabilità temporale che misura i giorni in base alle perdite in termini di Pil, contagi o decessi. Il tempo ridotto a calcolo, misura computabile, interesse bancario, scricchiola sotto il peso del tempo dilatato e sospeso della quarantena. Cambia la percezione del tempo, ma siamo disposti ad accoglierlo in modo differente? A coglierlo nel ritmo del sole e della luna, nel movimento delle ombre sul muro della casa di fronte, in quella realtà interiore, evidente e chiara a tutti che sono io e che qualcuno associa all’anima?


«Non il tempo perduto, il tempo ritrovato,  - recita Ferretti - un tempo sconosciuto, stagnante nel regno dell’accelerazione, irrompe in streaming senza consolazione. Connessi tracciabili asettici, comunichiamo solitudini moleste e sovraesposte».

Ma Ferretti parla anche di un altro tempo: il tempo della liturgia, il tempo nel tempo quotidiano che rimanda a quello della salvezza.

Verrà il momento in cui oltre la fase 2, torneremo alla normalità, a popolare strade e piazza di paesi e città. E quanto prima ci sembrava del tutto scontato e banale apparirà (chissà per quanto) qualcosa di irreale. Almeno quanto la città irreale (Unreal city) descritta dal folksinger M. Ward nel suo ultimo album “Migrant stories” (2020). Tutto ispirato a storie di migrazione, il suo disco contiene questo brano trasognato che accompagna un bel video in stile nouvelle vague. Nel video c’è infatti una città sognata in cui farsi trascinare dal desiderio di ballare per strada. «Tutta la mia vita, il mio cuore in cerca di cosa, di quando ..chi può mettere in fila le parole?».


«Il video – spiega lo stesso Ward - racconta quando scopri la gioia e la meraviglia nei momenti e nei posti più impensati». Protagonista è l’attrice e modella francese Clémence Poésy che per le strade di Parigi (si intravede anche Notre Dame danneggiata dopo l'incendio) passeggia e balla. «E così, come ovunque il sole colpisce il marciapiede/ ovunque ci sono piedi per strada/ mi sento al massimo in quel momento/ Ho trovato la pace nella Città irreale».

Il finale corale è per noi liberatorio, come traduzione visiva di quanto dice il salmo 30: «hai mutato il mio lamento in danza». Un augurio per tutti purché la città, per noi sia pienamente reale.