lunedì 28 marzo 2011

3° Domenica di Quaresima

Jacopo Vignali (1592-1664), Gesù e la Samaritana
Seminario Arcivescovile Fiorentino
Al centro della liturgia di questa III domenica di Quaresima c’è l’acqua, punto di incontro tra Gesù e la donna.
L’uomo di oggi è un individuo che desidera sempre di più; continuamente assetato di giustizia, di libertà, di comunione, di pace… desideri spesso insoddisfatti. Cerca un assoluto capace di estinguere la sete in modo definitivo. Ma dove si può trovare un’acqua che plachi ogni inquietudine e appaghi ogni desiderio?
La risposta è data da Gesù nell’incontro con la Samaritana. Nella tradizione biblica Dio stesso è la fonte dell’acqua viva. Allontanarsi da Lui e dalla sua Legge é conoscere la peggiore siccità (cf Ger 2,12-13; 17,13). Nel difficile cammino verso la libertà Israele, arso dalla sete, tenta Dio, esige il suo intervento come un diritto e contesta l’operato di Mosè che sembra il responsabile di un’avventura senza sbocchi. Il popolo rimpiange il passato e rifiuta il futuro, denunciato come illusorio. Vorrebbe impadronirsi di Dio per sciogliere in modo miracolistico le sue difficoltà (prima lettura). Ma Dio si sottrae a questo tipo di richiesta. Tuttavia Egli dà prova di non abbandonare il suo popolo: gli assicura l’acqua che disseta perché riconosca in Lui il Salvatore e impari ad affidarsi a Lui.
La roccia da cui Mosè fa scaturire l’acqua è segno della Provvidenza divina che segue il suo popolo e gli dà vita.
Nella Pasqua di Gesù, la promessa dell’acqua viva diventa realtà; dal suo costato squarciato sono usciti sangue ed acqua. Gesù diventa la sorgente da cui scaturisce l’acqua dello Spirito, che è l’amore di Dio riversato nei nostri cuori. E’ questo amore che ci ha purificati e generati a vita nuova. Per opera dello Spirito siamo diventati una sola cosa con Cristo, figli nel Figlio, veri adoratori del Padre.
L’Eucaristia è accostarsi alla fonte dell’acqua viva per ricevere la piena effusione dello Spirito, l’alimento sempre nuovo dell’amore: «Chi beve dell’acqua che io gli darò... avrà in sé una sorgente che zampilla fino alla vita eterna» (ant. comunione).
Ma il dono ricevuto diventa compito di annuncio e di testimonianza. Come la Samaritana bisogna raccontare ai fratelli ciò che Dio ha compiuto in noi perché essi, come i concittadini della donna, arrivino a confessare che Gesù è «il Salvatore del mondo». La fede deve diventare contagiosa.
Se la ricerca e la sete dell’uomo trovano in Cristo pieno appagamento è necessario testimoniare come la salvezza non sta nelle «cose» che accendono nuovi desideri ed inquietudini, ma nell’unico valore a cui abbiamo aderito: Gesù Salvatore dell’uomo. Non c’è altra acqua che faccia fiorire il nostro deserto e che definitivamente plachi il nostro cercare.

Chiunque tu sia, Dio ti vede, individualmente. Egli ti chiama per nome. Ti vede e ti comprende come realmente ti ha fatto. Ti conosce internamente, conosce i tuoi sentimenti, i più riposti pensieri, conosce le tue inclinazioni, le tue preferenze, le tue forze e le tue debolezze… Ascolta la tua voce e i battiti del tuo cuore. Sente anche il tuo respiro. Tu non potresti mai amare te stesso, quanto lui ti ama.”  
 J.H. Newman



lunedì 21 marzo 2011

2° Domenica di Quaresima

(Grazie alla sbadataggine e alle penne usb arriviamo sempre in ritardo..)

Egli ha vinto la morte e ha fatto risplendere la vita e l’incorruttibilità per mezzo del Vangelo
Le Parole di Paolo, proclamate nella seconda lettura di questa Domenica, ci rendono ancora più chiaro il senso del cammino quaresimale. Il tempo dell’attesa non è vano: è rischiarato da una luce soprannaturale che è insieme anticipazione e promessa dell’evento pasquale.

Paolo scrive a Timoteo mentre è prigioniero a Roma, dopo la prima udienza del processo in cui tutti lo hanno lasciato solo.  La sua predicazione è compromessa da numerosi oppositori e falsi maestri, eppure non viene meno nella certezza della fede.  “Ha fatto risplendere la vita”.
Torna alla mente la luce che dal cielo lo avvolse nel suo cammino verso Damasco (At. 9,3), quell’esperienza intraducibile di Gesù Risorto che per sempre gli ha cambiato la vita. Paolo ha scommesso tutto su quell’incontro in cui si sentì dire: “Ti sarà detto che cosa devi fare”.
Abramo, prima di lui, aveva fatto altrettanto, affidandosi ad una parola che non indicava ancora la meta, ma soltanto la strada da percorrere: “Vàttene dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre, verso la terra che io ti indicherò”.

Anche nel Vangelo si recupera un’irruzione del divino nella storia che fa chiarezza, disperde le tenebre e indica la strada. “Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo”.
La visione, ancora una volta, è momento di ascolto, luogo della promessa, ma la Parola è presente davanti ai discepoli nella persona di Gesù. “Ascoltatelo”.
Ancora una volta non siamo approdati alla meta, ma ci siamo messi in cammino, impariamo a non sbagliare strada in ascolto di Gesù. Si tratta di un percorso tutto in salita, che chiude definitivamente il tempo della profezia e inaugura una nuova epoca di compimento: Mantieni il segreto e non rivelare la visione fino a che il tempo sia compiuto".

E’ fin troppo facile citare il brano che Sufjian Stevens ha dedicato alla Trasfigurazione.
La canzone, dall’album “Seven Swans” (2004) segue il racconto evangelico con elegante scioltezza.

When he took the three disciples to the mountain’s side to pray,
his countenance was modified, his clothing was aflame.
Two men appeared: Moses and Elijah came;
they were at his side.
The prophecy, the legislation spoke of whenever he would die.

Then there came a word
of what he should accomplish on the day.
Then Peter spoke, to make of them a tabernacle place.
A cloud appeared in glory as an accolade.
They fell on the ground.
A voice arrived, the voice of God,
the face of God, covered in a cloud.

What he said to them,
the voice of God: the most beloved son.
Consider what he says to you, consider what's to come.
The prophecy was put to death,
was put to death, and so will the Son.
And keep your word, disguise the vision till the time has come.

Lost in the cloud, a voice: Have no fear! We draw near!
Lost in the cloud, a sign: Son of man! Turn your ear!
Lost in the cloud, a voice: Lamb of God! We draw near!
Lost in the cloud, a sign: Son of man! Son of God!

Persa in una nuvola, una voce: Non temiamo! Avviciniamoci!
Perso in una nuvola, un segno: Figlio dell’uomo, Apri il tuo orecchio!
Persa in una nuvola, una voce: Agnello di Dio! Avviciniamoci!
Perso in una nuvola, un segno: Figlio dell’uomo! Figlio di Dio!

Perché si compia la missione di Cristo, così come si  è compiuta la profezia, occorre passare dalla morte, dalla Passione che tanto scandalizzava i discepoli. Occorre compiere l’esodo di cui Gesù discute con Mosè ed Elia. Due personaggi che incarnano la legge e la profezia.
The prophecy, the legislation spoke of whenever he would die.
La profezia, la legge parlarono di quando sarebbe morto.

Nel prefazio di domenica questo pensiero è espresso compiutamente:
Egli, dopo aver dato ai discepoli l’annunzio della sua morte, sul santo monte manifestò la sua gloria
e chiamando a testimoni la legge e i profeti indicò agli apostoli che solo attraverso la passione possiamo giungere al trionfo della risurrezione.

Anche noi con Lui, confidando nella “parola fedele”, attraverso la passione raggiungeremo la meta, giacché “tutti coloro che vogliono vivere devotamente in Cristo Gesù saranno perseguitati” (2Tm 3,12).

What he said to them,
the voice of God: the most beloved son.
Consider what he says to you, consider what's to come.

Ciò che ha detto loro,
la voce di Dio: il figlio prediletto
Pensa a cosa ti dice, pensa a cosa sta per accadere.

E che, con molta grazia, ce lo venga a ricordare un cantante, fuori da ogni predicazione confessionale e ogni intento catechetico, non mi sembra così banale.


martedì 15 marzo 2011

1° Domenica di Quaresima

Ecco un affresco dai toni delicati e luminoso nei colori, così vario di particolari, creature celesti e terresti  che è un piacere guardarlo e perdercisi dentro. Cielo e terra si confondono. Siamo in terra o in qualche angolo di paradiso? Drappelli di angeli camerieri scendono a recare brocche, vassoi di primizie, poponi, pane e frutta. Paffuti angioletti, paggetti celesti educati e dalle vesti ricercate sono distribuiti su tutta la parete di fondo dell’Aula Magna del Seminario di Firenze, un tempo refettorio delle monache carmelitane di San Frediano.  Cristo è al centro, seduto ad una mensa improvvisata ma imbandita a dovere.
L’affresco, che copre tutta la parete di fondo del refettorio, è opera di Bernardino Poccetti (1548-1612), fiorentino doc, che aveva casa e bottega in San Frediano e che del quartiere amava frequentare soprattutto le bettole e i suoi clienti. Alle tavole imbandite alle bevande doveva dunque essere avvezzo, anche se nel dipinto emerge una sensibilità ben diversa. “Non si vede fra quanto partorì la natura, come frutte, fiori, erbe, campagne, boschi, animali, e uomini, cos’alcuna ch’egli non abbia voluto imitare; e quel ch’è più, con tanta bravura, con una certa, per così dire, pittoresca vena, con una facilità, e con un tocco così spiritoso, che è una meraviglia a vedersi” (F. Baldinucci, Notizie de’ professori del Disegno da Cimabue in qua. In Opere, vol. VIII, ed. Milano 1811, p.469). Vertici e bassezze di un pittore, così umano e pronto a ingaglioffirsi, ma anche tanto dedito alla pittura da saltare sempre il pranzo per continuare il lavoro iniziato e sprezzare il denaro e gli onori.
Ma cosa raffigura precisamente l’affresco?
Ce lo racconta il Vangelo della I domenica di Quaresima: “In quel tempo, Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo. Dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame” (Mt, 4,1). Lui, Gesù, figlio del falegname, cerca finalmente sollievo dal morso della fame. Il Figlio di Dio, in cui il Padre si è compiaciuto, è servito dalle schiere degli angeli. Una beatitudine e una dolcezza di paradiso scendono sulla terra, coinvolgono anche gli animali: il lupo è mansueto, tra l’erba i conigli si avvicinano al Signore, un cervo si erge maestoso in secondo piano,  pappagalli grandi e colorati aggiungono un tocco esotico alla scena.
L’austerità dei quaranta giorni sembra quasi stonata rispetto all’atmosfera cordiale e accattivante dell’affresco. Il nostro digiuno non è fine a sé stesso, ma per una vita piena perché ordinata a Dio, lieta perché possiede l’essenziale. Non è tempo di tristezza la Quaresima. Anche questo dipinto aiuta a ricordarcelo.
La tentazione, qui raffigurata in secondo piano, a sinistra, nel momento in cui il diavolo invita Gesù a trasformare le pietre in pani, è superata dalla risposta biblica, secca e decisa con cui Gesù rilancia al tentatore: “non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”. E’ il leit-motiv del vita monastica nel refettorio: mensa comune, frugalità, ascolto della Parola.
Se scegliamo Dio prima delle cose di questo mondo, da Dio riceveremo doni di grazia, anche in mezzo alle tribolazione e alle sofferenze, ci verrà fatto sperimentare un angolo di paradiso -quello perduto da Adamo ed Eva-  già sulla terra. L’episodio della Genesi, infatti, ci rivela che riconoscere la propria miseria e il proprio peccato  fa sentire poveri e nudi. Appena mangiato il frutto proibito “si aprirono gli occhi di tutti e due e conobbero di essere nudi”. Abbiamo bisogno di Dio che ci offra vesti nuove per riconsegnarci la dignità e comprendere il nostro posto nel creato e nella storia.
Tutti i grandi santi hanno sperimentato la “notte” della tentazione, la coscienza, sempre più acuta del proprio peccato, una nuda aridità. E’ un cammino doloroso di purificazione che li ha condotti al vero centro del loro essere, per fare la piena scoperta di sé in Dio e raggiungere la vocazione piena e singolare nella perdita di sé stessi.
E’ quello che è capitato anche a Santa Maria Maddalena de’ Pazzi. La sua prova si protrasse per cinque anni di attraversati da sofferenze e tentazioni di ogni tipo. Il coltello posato in evidenza sulla mensa di Cristo, nell’affresco del Poccetti, ci ricorda un episodio in particolare: “sopragiunta da gravissima tentazione di farsi male da se stessa, se ne andò in refettorio: dove prese un coltello, e ritornata in Coro, pure in ratto, salì sopra l’altare della Santa Vergine, e nelle mani di li lei il collocò, per ottener grazie di vincere al tentazione”.
Superata la prova, il suo terribile “lago dei leoni”, il momento della rivincita è gaio e ricco di doni di grazia come la scena dipinta in seminario:  “Divenuta in volto più gioconda, e splendente che mai, per l’immensa allegrezza di cui si trovava ripiena, eccitata dalla vista di quelle’anime beate, non poteva contenersi di non esultare con loro. Onde ancor’ella stando in piedi, con gratiosa maniera ballava, e saltava e faceva gesti, che mostravano la letizia del suo cuore; ma però erano congiunti con modestia tale, che solo non provocavano à dissoluzione, disse: io voglio andare in tutti quei luoghi, dove il mio avversario hà cercata di volermi offendere, per confonderle con tutte le sue doppiezze. Perciò andò in molti luoghi del Munisterio, dove specialmente era stata travagliata, e tormentata dal demonio; e quivi faceva gran festa, ballando & esultando come Angiolo celeste”.
Quanto chiede il salmo: “rendimi la gioia della tua salvezza, sostienimi con uno spirito generoso. Signore, apri le mie labbra e la mia bocca proclami la tua lode”, il Signore ce lo rende davvero. Il tempo della Quaresima è dunque tempo propizio: “il nostro progresso si compie attraverso la tentazione. Nessuno può conoscere se stesso, se non è tentato, né può essere coronato senza aver vinto, né può vincere senza combattere, ma il combattimento suppone un nemico, una prova” (Sant’Agostino, Commento ai Salmi, lettura dall’Ufficio della 1° domenica di Quaresima).
Sintetizza con efficacia il prefazio: “Egli consacrò l’istituzione del tempo penitenziale con il digiuno di quaranta giorni, e vincendo le insidie dell’antico tentatore ci insegnò a dominare le seduzioni del peccato, perché celebrando con spirito rinnovato il mistero pasquale possiamo giungere alla Pasqua eterna”.

giovedì 3 marzo 2011

IX Domenica del Tempo Ordinario

Bronzino,  Sacra Famiglia Panciatichi, olio su tavola, Galleria degli Uffizi (1541 circa)
Una recente mostra dedicata al pittore fiorentino Agnolo di Cosimo detto Bronzino, comprendeva tra i dipinti più belli e rappresentativi una sacra famiglia dipinta per la famiglia Panciatichi (lo stemma è riconoscibile in alto in una bandiera sventolante).
Nella tavola campeggia una scultorea figura della Vergine, giovane e bella come una statua greca: greco il profilo del volto e astrattamente scultorea l’acconciatura, con i capelli raccolti all’indietro in un volume compatto che ricorda Prassitele. Le tonalità diafane e adamantine della carne richiamano, d’altronde, la consistenza e la luminosità della pietra dura, tipica del Bronzino. Ma la Vergine, inscritta in un panorama roccioso e scosceso quale vera “fortezza inespugnabile”, al pari di quella riprodotta in alto in secondo piano, volge lo sguardo in basso, verso Gesù Bambino che riposa.
Gesù è disteso per terra, dove dorme placidamente sotto lo sguardo attento di Maria e Giuseppe, per nulla disturbato dall’abbraccio di San Giovannino che si accosta per baciarlo devotamente. Il bambino poggia i piedini su una roccia ben visibile in primo piano. Un particolare che rimane singolarmente impresso, non soltanto per il contrasto tra le carni tenere e delicate e la superficie dura e non dirozzata del sasso (su cui è visibile anche la firma del pittore).  Potrebbe venire in mente un brano di Isaia (51,1) “Ascoltatemi, voi che siete in cerca di giustizia, voi che cercate il Signore; guardate alla roccia da cui siete stati tagliati, alla cava da cui siete stati estratti”. La prossimità con la roccia e la petrosa ambientazione della tavola sembrano suggerire un’immagine già presente nel Deuteronomio (32,4): “Egli è la Roccia: perfette le sue opere”.
Ma più ancora che con questi brani è la liturgia di Domenica a propormi consonanze con questo dipinto. Il Salmo responsoriale è scandito dal ritornello che recita: “Sei tu Signore, per me una roccia di rifugio”.
“Tendi a me il tuo orecchio, vieni presto a liberarmi” E in effetti l’orecchio del Bambino è in piena evidenza, sotto lo sguardo raccolto del devoto che in preghiera contemplava il dipinto guidato dal gesto intimo e confidenziale di Giovannino.
Sii per me una roccia di rifugio, un luogo fortificato che mi salva”. La rocca sulla cima, nonostante alcune proposte, non è identificabile e sembra sviluppare l’immagine biblica rinforzata dal versetto successivo: “perché mia rupe e mia fortezza tu sei, per il tuo nome guidami e conducimi”. E il percorso sembra dipanarsi, nel dipinto poco sopra i piedi di Gesù bambino, dove un sentiero si insinua tra le balze e conduce in città. “Sul tuo servo fa’ splendere il tuo volto”. Così prosegue la recita del salmo e forse anche la finissima pittura del Bronzino, che descrive il volto di San Giovannino con uno stupendo gioco chiaroscurale e lo illumina di riflessi rosati.
Il Vangelo di Matteo ribadisce l’alternativa tra la casa fondata sulla roccia e quella costruita, pur nel nome di Dio, soltanto dall’uomo per l’uomo.
Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ma essa non cadde, perché era fondata sulla roccia”.
E’ facile, a questo punto, cadere nella tentazione di leggere il brano evangelico tenendo in mente le nubi gonfie e oscure dipinte dal Bronzino sullo sfondo, immaginando il vento che spazza la cima e agita la bandiera della rocca salda e compatta. Ma chi ha il suo fondamento in Cristo che cosa può temere?
Forse la spiritualità dei committenti, Bartolomeo Panciatichi e la moglie Lucrezia, che era ispirata, secondo gli esperti, alle idee riformate, avrebbe gradito il brano tratto dalla lettera ai Romani di San Paolo.
Tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio, ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia, per mezzo della redenzione che è in Cristo Gesù. E’ lui che Dio ha stabilito apertamente come strumento di espiazione, per mezzo della fede, nel suo sangue”. 
Gesù bambino, così profondamente addormentato e disteso sulla pietra, non avrà mancato di richiamare loro la Passione e preannunziare con questa posa la deposizione nel sepolcro.
L’uomo è giustificato per la fede, indipendentemente dalle opere della Legge”. La seconda lettura ci offre la chiave per comprendere meglio il Vangelo, non già in senso valdese o luterano. A prima vista, in realtà, i due brani sembrerebbero quasi dissonanti. Riporta infatti Matteo: “Chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, sarà simile a un saggio”.
Non sono in grado di affrontare una spicciola teologia della grazia, ma mi basta far tornare alla mente le parola di un “santo” dei nostri tempi: “Scegliere Dio e non le opere di Dio!” (cfr. F.X. Van Thuan, Cinque pani, due pesci) Così ripeteva François Xavier Van Thuan, già vescovo di Saigon (Vietnam). Nel 1975, con il solo “bagaglio” di un rosario che aveva in tasca, venne inviato in un campo di rieducazione, dove rimase per tredici anni, nove dei quali in assoluto isolamento. All’improvviso, senza alcuna colpa, dovette lasciare tutto: la sua Chiesa, il suo lavoro pastorale, i suoi fedeli. Privato di ogni cosa, perfino della consolazione nella preghiera, Van Thuan cercò soltanto Dio, fino a lasciarsi completamente trasformare da Lui. E Dio lo rese più forte della roccia perché la sua testimonianza ha convertito molti suoi carcerieri e compagni di prigionia. La fedeltà a Dio, anche nell’oscurità del carcere, ha prodotto opere ancora più grandi di quelle forzatamente abbandonate. Una volta liberato la sua esperienza ha portato doni di grazia in tutto il mondo e alla chiesa: Giovanni Paolo II  lo fece cardinale e recentemente è stato avviato il suo processo di beatificazione a soli 8 anni dalla morte.
Essere fedeli alla Parola di Dio, custodirla nel cuore perché porti frutto, confidare soltanto in Lui senza anteporre la nostra volontà o i nostri propositi, pur buoni, ma inevitabilmente miseri e passeggeri accanto a quelli di Dio.
Briciole che raccolgo dalle lettura di questa Domenica che precede l’inizio della Quaresima, ma che possiamo fare nostre per iniziare bene questo tempo forte dell’anno liturgico. Ancora una volta me lo suggerisce il Bronzino (che certo mi perdonerà se ho scavalcato i suoi pensieri e quelli dei suoi committenti). La Vergine stende la mano sul libro chiuso, meditando in cuor suo ciò che ha appena pregato. Anche San Giuseppe contempla silenziosamente il suo Bambino, lui che “fece come gli aveva ordinato l'angelo del Signore” e dopo l’ascolto “prese con sé la sua sposa, la quale, senza che egli la conoscesse, partorì un figlio, che egli chiamò Gesù” (Matteo 1, 24-25).

IX Domenica del Tempo Ordinario | Letture

Prima lettura: Dt 11,18.26-28.32
Salmo 30 (31)
Seconda Lettura: Rm 3,21-25a.28
Vangelo: Mt 7,21-27