sabato 20 gennaio 2018

ANCHE TU SEI UN NICHILISTA ATTIVO?

NICHILISTI ATTIVI O PASSIVI? 

Uno spettro si aggira per l’Europa. È, dicono, l’ospite inquietante del nichilismo che alberga nel cuore dei giovani. 
Ne ha discettato ampiamente Umberto Galimberti che dieci anni fa dava alle stampe “l’Ospite inquietante. Il nichilismo e i giovani” (2007), un testo a cui ultimamente ha fatto seguire “La parola ai giovani. Dialogo con la generazione del nichilismo attivo” (2017) dove ricuce insieme le loro lettere, le sue risposte e i suoi commenti su un ampio spettro di tematiche. 

L’identità dell’ospite inquietante, precisa Galimberti, l’ha descritta perfettamente Nietzsche: «manca lo scopo, manca la risposta al ‘perché’, i valori supremi perdono valore». Eppure nel corso di un decennio lo spettro del nichilismo si trasformato almeno un po’, al punto da guadagnarsi un aggettivo. C’era una volta, infatti, il nichilismo passivo della rassegnazione o della ribellione. Oggi, afferma Galimberti, anche il nichilismo non è più lo stesso e «tra una percentuale forse non piccola» di giovani si fa strada un nichilismo ‘attivo’. 



Dieci anni fa l’autore chiudeva significativamente il suo testo con un interessante capitolo dal titolo: «la musica giovanile e il ritmo del cuore». C’è, a suo dire, una discontinuità epocale tra la musica intesa come armonia (specchio di una realtà celeste, intrisa di etica e metafisica che da Platone è arrivata fino ad Hegel) e una musica che è tutta …un’altra musica. Musica «sempre sul ciglio dell’abisso», espressione della dimensione tragica della vita che allo stesso tempo è rimando a un grido primordiale, originario, attorno a cui si costituisce, o vorrebbe costituirsi, una comunità. Un grido previo alla parola stessa, più vicino al ritmo del battito del cuore che alla sintassi di un discorso. Un ritmo originario che attraverso la musica di oggi sfocia in un vitalismo fatto di istanti carichi di ‘passioni’, espressione di una spiritualità invertita che invece di orientare verso l’alto riconduce a una carnalità tutta terrestre. 

Il discorso è interessante, ma decisiva, in realtà, è la conclusione a cui vuole arrivare Galimberti e cioè che la ricerca di senso propria della tradizione cristiana debba ormai lasciare il passo a «quell’espansione della vita a cui per natura tende la giovinezza e la sua potenza creativa». Insomma: è finito il tempo delle domande di senso; inutile cercare risposte sopra la nostra testa. 
Sarà davvero così? 

MUSICA & NICHILISMO 

Con la musica si può forse provare a rispondere. L’erosione della ricerca di senso ha certamente segnato la fine del secondo millennio. Un nichilismo che, dopo l’ubriacatura edonista dei favolosi eighties, gli anni novanta avevano coltivato a iosa, mietendo vittime tra adolescenti cresciuti a pane e grunge, nutella e consumismo di massa, tra i Nirvana e le Spice Girls. 
C’era, all’epoca, chi aveva tradotto in manifesto lo spettro dell’ospite inquietante dell’anima come gli Smashing Pumpkins di Billy Corgan: «emptiness is loneliness, and loneliness is cleanliness/ And cleanliness is godliness, and god is empty just like me (Il vuoto è solitudine, e la solitudine è purezza/ E la purezza è divina, e Dio è vuoto proprio come me)» o nelle divagazioni militanti dei Manic Street Preachers «I know I believe in nothing. But is my nothing». Un’affermazione granitica e disarmante che il videoclip di ‘Faster’ faceva apparire nel bel mezzo di un assolo incendiario suonato da James Dean Bradfield nei panni di un terrorista dell’IRA. 




Oggi – a dire di Galimberti - sul nulla si può avere uno sguardo più leggero, danzare e continuare a sognare. È il nichilismo attivo di chi, pur di fronte alle rovine o all’assenza di sistemi di riferimento, vuole o almeno vuole credere di farcela. 

«Signore hanno scoperto con la lente Che dietro al cielo non c'è niente/ E ci sta solo un telo nero/ Se lo scoprirà la gente» canta Mannarino in ‘Apriti cielo’ e me lo suggerisce Sofia, che a sedici anni prova a descrivere il vuoto che i suoi coetanei si portano dentro. 

Forse si può cantare e danzare sul nulla, rapiti dalla musica che sottrae al passare del tempo. Ma cosa resta? C’è una canzone e un video di grande suggestione che ce ne parlano (Motta, del tempo che passa la felicità: “Sarebbe bello finire così/ Lasciare tutto e godersi l'inganno/ Ogni volta/ La magia della noia/ Del tempo che passa la felicità). 




MUSICA & SPIRITUALITÀ 

I nichilisti attivi ribattono che se tutto è venuto meno ci sarà pure qualcosa da cui ripartire: «se è vero che non ci sono più valori, come sembra dai vostri discorsi disfattisti, starà a noi trovarli. E quando li troviamo e poi li difendiamo, non diteci che sono utopie o ingenuità». Anche i nichilisti attivi hanno i loro valori e i loro ideali, sono consapevoli degli inghippi del mondo contemporaneo e consapevoli delle capacità che possiedono. Valori positivi che, tutto sommato, anche la modernità ha saputo coltivare. Altri 'valori' nascono da esperienze originarie, come un’affettività prigioniera di sentimento esasperato o l’affermazione di sé che si traduce in sforzo prometeico di acchiappare il mondo. I nichilisti attivi, poi, li troviamo anche nel mondo pop della musica nostrana, come canta il Gabbani nazionale. 

Eppure, anche nella musica, trova spazio una certa spiritualità. 
Il cuore dei giovani non può essere stretto in un vitalismo fondato sul nulla o affidarsi a una speranza che non poggia da nessuna parte se non su se stessi e le proprie fragilità. C’è poi l’inquietudine di chi si sente chiamato a cercare la verità e non soltanto a sperimentare la verità dei sensi. C’è la nostalgia di un’armonia originaria, di un incanto nel mondo disincantato. Il desiderio di bene, il ritorno a un bisogno di simboli, di sacro, che sconfina perfino nel ritorno della religione. 
«Ogni notte sto alzata un po' più a lungo/ in ricerca su quel campo di stelle/ sai chi sono? Puoi sradicare il mio albero? / Puoi trovare cosa c'è dentro di me?/ trovare l'origine della mia disfatta?» Così, su versi che assomigliano a una poesia, canta Natalie Merling degli Weyes Blood, in un videoclip dal gusto un po' retro, ma dal grande fascino contemplativo.
I gave my strength/for years like an ox I pushed/and for years like a ship I sank/
to the bottom of that unknown sea/ I'm still learning to be free and not so somber/everynight I stay up a little longer/ searchin on that field of stars/
do you know who are?/can you dig up my tree?/can you find whats inside of me?/find the origin of my defeat?



Possibile che perfino quel giovanotto fuoriuscito dagli One direction che passa sotto il nome di Harry Styles, non trascini con sé un briciolo di spiritualità? Forse non è facile trovarla quando raggranelli oltre duecento milioni di passaggi su youtube e sei incastrato nelle sofistificazioni commerciali. Eppure Harry parla di ‘Segni dei tempi’, categoria che dal Concilio Vaticano II in poi la Chiesa non fa che ripetere, cercare e indicare. Qual è il segno dei tempi di Harry? Il pianto di chi si sente messo alle strette dalle ferite della vita. Una ballata che, dice lui, racconta il dramma di una mamma che muore dando alla luce il proprio bambino. «Remember everything will be alright/ We can meet again somewhere/ Somewhere far away from here!». Dobbiamo scappare di qui.. ripete Harry, mentre nel videoclip si libra nell’aria fino a perdersi nel tramonto. 



Si potrebbe scrivere a lungo sulla simbolica della fuga, se non altro per tutte le volte che è proposta nei videoclip. Se ne potrebbero elencare a centinaia. Fuga che è incubo, fuga verso la salvezza, fuga disperata, fuga verso l’innamorata, la luce, l’orizzonte. «Ma una ragazza un giorno m'ha spiegato/ Che il mare ha tante onde/ E non finisce all'orizzonte» ripete anche il nostrano Mannarino. E il videoclip che accompagna il brano racconta proprio di una fuga drammatica fino alla riva del mare. Tornano in mente le parole di Paul in Breakfast at Tiffany’s: «si deve appartenere a qualcuno, perché questa è la sola maniera di poter essere felici. Tu ti consideri uno spirito libero, un essere selvaggio e temi che qualcuno voglia rinchiuderti in una gabbia. E sai che ti dico? Che la gabbia te la sei già costruita con le tue mani ed è una gabbia dalla quale non uscirai, in qualunque parte del mondo tu cerchi di fuggire, perché non importa dove tu corra, finirai sempre per imbatterti in te stessa». 




«VENITE DIETRO A ME» 

Gesù ci parla di conversione. I vangeli raccontano di vocazione. La fede ci parla di un Regno dei Cieli. La generazione nichilista attiva è interessata a questo Dio? 

Se Dio assomiglia al mio niente, non mi interessa più di tanto. Se resta una proiezione che ha avuto un certo valore nella storia il suo tempo è passato. «Intorno a Dio – scrive Galimberti in “La parola ai giovani” - si chiedono che cosa motiva la ricerca di Dio, e poi, confrontandosi tra loro, si accorgono che ciascuno si è costruito il suo Dio a propria immagine e somiglianza. A questo punto la discussione non può più proseguire, e la domanda si sposta dall’esistenza di Dio alla funzione che Dio ha svolto nella storia». Il commento perfetto, ancora una volta, lo possiamo trovare nella pungente ‘Deija’ del solito Mannarino, che nella sua prospettiva immanente invoca comunque un Dio che parla di redenzione e fratellanza. 

Eppure Gesù è diverso. Non si può ridurre al desiderio di buoni sentimenti. Gesù chiede conversione e ricorda che il tempo è una realtà densa, non una ruota che gira, ma una realtà che si compie. C’è un tempo opportuno che diventa il tempo della svolta. Un tempo che si è fatto breve perché qualitativamente condensato, come se lo srotolarsi delle ore si fosse riavvolto in un punto, come le vele ammainate sull’albero della nave. È il tempo denso della grazia che può commentare una canzone; quella che riesce a raccontare le parole che non trovi. 

David Pajo, chitarrista statunitense, già membro degli Slint, aveva preannunciato il suicidio. Esito drammatico di una vita al capolinea. Lo racconta lui stesso: «Ricordo (il giorno in cui ho cercato di uccidermi) perfettamente e lo rivivo spesso nella mia mente, lo faccio per non dimenticare», afferma David. «Quando sono arrivato in ospedale un’infermiera mi ha chiesto se avevo qualcosa da dire. Ho risposto che avrei voluto morire. “Sono contenta che non sia successo” mi fa. Mi sono messo a piangere sommessamente. Nessuno mi aveva mai detto una cosa del genere». «Tutto il supporto e l’amore che mi ha dato la gente è stato rigenerante. Ho ricevuto centinaia di mail e messaggi da amici e sconosciuti a partire dalla pubblicazione della nota e tuttora ricevo messaggi da persone che condividono con me le loro storie di vita. Sto cercando di fare del mio meglio per rispondere ad ognuno di loro». 

Salvato dai suoi amici David un anno dopo resta coinvolto in un grave incidente ed è costretto a lungo sulla sedia a rotelle. Un videoclip ce lo presenta sulla carrozzina, chiuso nel bianco e nero di un dramma che ritorna ossessivamente su una forza e un’immagine quasi caricaturale di sé, fatta di anelli kitsch e tatuaggi. David passa qui sotto lo pseudonimo di Papa M e il brano, privo di testo, è una successione di massicci riff di chitarra. Poi nel brano entra la grazia: due bambini che giocano con i petali di un fiore. Entra il colore e le ruote della carrozzina spinte con forza da David lasciano il posto alla ‘ruota’ di una piccola ginnasta e alle corse dei due bambini. Arriva la grazia inafferabile che scombina tutto. Qualcosa che resta impossibile da manipolare. «Quando sono debole è allora che sono forte» direbbe san Paolo. Dubito che l’autore del video pensasse a all’apostolo o intendesse esprimere qualche verità di fede. Eppure non è facile trovare qualcosa che assomigli di più alla grazia che riporta alla vita, all’identità senza maschere che solo Dio restituisce. 


Alla generazione dei nichilisti attivi, come a quella dei giovani di ogni tempo e di ogni luogo, il Vangelo propone la possibilità di un incontro, l’apertura a una relazione, l’invito ad “appartenere a qualcuno”. La fede cristiana non è una speculazione corredata da un apparato religioso e da una gerarchia di potere, ma l’esperienza di una relazione che cambia la vita. Gesù non ha una definizione da consegnarci, neppure un libro sceso dal cielo da metterci tra le mani. 
Gesù cerca proprio me. Nel Vangelo scruta i discepoli, li fissa con amore e li chiama alla sequela. Ha un orizzonte più grande da indicarmi. Una proposta che mi prende dove sono. Che mi trovi nella vetta della contemplazione o nell’abisso della disperazione. Ai discepoli, pescatori che armeggiano con le reti sulla riva del lago, Gesù preannuncia: «vi farò pescatori di uomini». Il Figlio dell’uomo non cancella la loro storia, ma la apre alla novità che da soli, loro come i nichilisti attivi di oggi, non potrebbero mai darsi. 

Gesù apre alla relazione nuova, quella che si costruisce dietro di Lui. È una proposta, una vita che cambia. Sei tu, ma non sei più lo stesso. Come scriveva San Giovanni Crisostomo in un’omelia: «Quando gli uomini …ti vedranno cambiato, convertito, non diranno forse come i giudei dicevano dell’uomo cieco dalla nascita che era stato guarito: “è lui?”, “sì è lui”, “no, ma gli assomiglia”. “Non è forse lui?”». La conversione, diceva qualcuno, attesta la perenne giovinezza del cristianesimo. È la forza del Vangelo. È il primato di Dio. «Quanto più si è in grado di ricevere l'amore di Dio – affermava un maestro dello Spirito di nome Diadoco di Fotice -, tanto più lo si ama». 



Il Signore ti invita a provare, a fidarti di lui. È la forza di un dinamismo oggettivo e non soggettivo. Il Vangelo non è soggettivo, ma oggettivo: è la forza oggettiva e concreta di un Dio che si incarna, ci conosce e ci raggiunge nella carne, nei sacramenti, nei fratelli. È la forza oggettiva che mi strappa dal corto circuito del pensiero che si riflette e si ripiega su stesso. «Venite – sembra dire Gesù anche ai nichilisti attivi di oggi -prendete il vostro niente e lo trasformerò in un tutto. Dal vostro niente si puo’ sempre ripartire». Al Signore questo basta per farci vedere quanto può cambiare la nostra esistenza. Ai pescatori in riva al mare schiuse un orizzonte più grande. 

«Ma una ragazza un giorno m'ha spiegato/ Che il mare ha tante onde/ E non finisce all'orizzonte». 
E se ce lo avesse spiegato Gesù?

ugo