mercoledì 23 aprile 2025

Quando il pontificato è l'arte dell'incontro

 

 
Mi ha chiamato Fabio per dirmi che era triste perchè è morto il Papa. Mi diceva: «il Papa era contento quando mi aveva visto». A dire il vero non so se Francesco l'abbia proprio visto, ma di certo noi abbiamo visto lui, insieme a tante altre persone, giovani e pellegrini. Però quella frase di Fabio, che è un ragazzo down con cui abbiamo condiviso tante esperienze, come la Giornate mondiali della Gioventù, mi sembra un bel modo di ricordare il Papa. 
 
Lui, se n'è andato in punta di piedi, il giorno di Pasquetta, quando tutti erano distratti per la gita fuori porta o una dormita più lunga del solito. Ora tornano in mente gesti, parole, anche contestazioni e polemiche. Francesco non era il papa della santità eroica di Giovanni Paolo II, tantomeno un papa professore e teologo come Benedetto XVI. Un papa "uno di noi", un "parroco del mondo", capace di mille delicate attenzioni e scelte decisioniste, con i suoi pregi e i suoi difetti, in grado di farsi intendere da tutti, ma proprio tutti, di passare dalla cattedra di Pietro all'apparizione televisiva al festival di Sanremo. Qualche giorno prima dell'elezione un mio amico argentino lo escludeva dai papabili: «E questo chi è - gli domandavo scorrendo le foto dei cardinali sul giornale -. Lo conosci?». «Ah, ma lui no, prende il bus, va al mercato, è uno semplice..». 
In piazza san Pietro il giorno della Messa di inizio pontificato, nella solennità di san Giuseppe, uscirono subito alcuni passaggi chiave del suo futuro magistero come la custodia del Creato e un "potere" che si fa servizio. Però a me rimase impresso quando parlò della "tenerezza": «non abbiate paura della tenerezza».

Dall'Omelia di inizio pontificato (Piazza San Pietro, 19 marzo 2013)

Papa Francesco è stato il Papa delle periferie. Nei suoi viaggi ha privilegiato paesi in cui i cristiani sono minoranza, talvolta davvero piccola. In Mongolia, dove i cattolici sono poco più di 1000 in tutto il paese, aveva salutato una donna, che una decina di anni prima aveva riportato a casa una statua di legno della Madonna che aveva trovato in una discarica: “questa bella signora è voluta venire ad abitare nella mia tenda” e il papa era andato a visitarla. Ogni giorno, fin quasi all'ultimo, ha chiamato al telefono la parrocchia di Gaza. A Lesbo in visita ai profughi lì ospitati, raccolse i disegni dei bambini profughi e lì mostrò al mondo di ritorno sull'aereo. Nel suo primo viaggio a Lampedusa, all'indomani di una - l'ennesima - strage di migranti nel Mediterraneo, pronunciò espressioni poi diventate proverbiali, come la "globalizzazione dell'indifferenza".

 

Dall'Omelia della Santa Messa nel campo sportivo "Arena" (Lampedusa, 8 luglio 2013)
Palma, un'anziana signora, non parlava da anni con la sorella. Mi aveva raccontato di vecchie ruggini e poi di parole e gesti mai digeriti. Ma una domenica mattina aveva sentito una parola del Papa pronunciata all'Angelus che invitava al perdono, a riconciliarsi in famiglia e aveva alzato la cornetta. Qualcosa di inatteso era accaduto. A me pare una grazia grande quanto un motu proprio, forse più grande della nomina del prefetto di un dicastero vaticano. Ma d'altra parte, come il Papa ricordava in uno dei suoi documenti più belli, "Gaudete et exsultate" la santità passa dai "piccoli particolari dell'amore". Cosa avesse in testa il Papa quando parlava di Chiesa lo espresse bene a Firenze, in occasione del Convegno Ecclesiale della Chiesa italiana, dove tornava fuori un'altra sua espressione rimasta emblematica: quella di una Chiesa in uscita, «accidentata, ferita e sporca».

Dal discorso pronunciato in occasione del V Convegno Ecclesiale della Cei (Firenze, Santa Maria del Fiore, 10 novembre 2015)

Non è possibile dimenticare, in tempi più recenti, il discorso in occasione del momento di preghiera per la pandemia e ancora di più l'immagine iconica di un Papa solo nella piazza deserta e bagnata dalla pioggia, nel silenzio di minuti che hanno parlato all'umanità intera. La pandemia, purtroppo, ha segnato anche un crescere delle tensioni interne alla Chiesa e l'immagine della barca nella tempesta, già ricordata da un papa Benedetto quasi al termine del suo pontificato, tornava ad esprimere le svolte faticose della Chiesa nel tempo. 

Un disegno preparato per la Via Crucis col Papa realizzata dai bambini nel 2021

Dal discorso pronunciato in occasione del momento straordinario di Preghiera in tempo di epidemia (Piazza San Pietro, 27 marzo 2020)

Per chi ha vissuto l'esperienza delle Giornate mondiali della Gioventù l'incontro con Papa Francesco aveva il sapore del dialogo con uno "di famiglia", un "motivatore" sempre pronto a comprendere, capace di un linguaggio semplice e chiaro. A Rio, la sua prima Gmg, diceva che «la gioventù è la finestra attraverso la quale il futuro entra nel mondo .. la nostra generazione si rivelerà all’altezza della promessa che c’è in ogni giovane quando saprà offrirgli spazio» (Papa Francesco, Cerimonia di benvenuto a Rio de Janeiro, 22 luglio). Il Papa c'ha provato, specialmente con il Sinodo dei giovani (2018) da cui è uscito uno dei suoi testi più belli, l'esortazione "Christus vivit" (2019). 


Dal discorso pronunciato in occasione della Veglia al Parque Tejo durante la GMG di Lisbona (5 agosto 2023)
Un passaggio, questo della Veglia della Gmg di Lisbona, in cui tornava un tema caro al pontificato di papa Francesco, quello della gioia. Un aspetto decisivo, che testimoniava il suo sorriso e che trova radice nella "gioia del Vangelo" che ha raccontato e invitato tutti a comunicare nel suo documento più bello e importante: "Evangelii Gaudium". 
 
C'è però un passaggio, che si può spulciare nell'enciclica Fratelli tutti, in cui il papa racconta qualcosa di sè, che mi pare bello e capace di fare sintesi di molti suoi gesti e parole. Qui cita una canzone, un brano musicale di cui rammenta il disco e la data di registrazione in Argentina: «Vinicius De Moraes, Samba della benedizione (Samba da Bênção), nel disco Um encontro no Au bon Gourmet, Rio de Janeiro (2 agosto 1962)». Un brano che gli deve essere stato caro da cui citava un verso e avviava una riflessione molto personale:  
 
«La vita è l’arte dell’incontro, anche se tanti scontri ci sono nella vita». Tante volte ho invitato a far crescere una cultura dell’incontro, che vada oltre le dialettiche che mettono l’uno contro l’altro. (...) Da tutti, infatti, si può imparare qualcosa, nessuno è inutile, nessuno è superfluo. Ciò implica includere le periferie. Chi vive in esse ha un altro punto di vista, vede aspetti della realtà che non si riconoscono dai centri di potere dove si prendono le decisioni più determinanti».