Due sguardi sul mondo. Il primo arriva da Anja Plaschg, meglio nota come Soap & Skin, cantante austriaca che in una manciata di album ha dato voce alle inquietudine e al disincanto del mondo contemporaneo, anzi, in particolare dell’Europa continentale, di una Mitteleuropa avvezza a confrontarsi con l’angoscia, la morte e un desiderio di trascendenza che ha smarrito il Cielo. Nelle melodie oscure che suonano ora come una preghiera o una marcia funebre, la sua voce tagliente arriva fin nel midollo.
Il suo ultimo album è interamente di cover, compreso il singolo “Girl loves me”, un brano di David Bowie estratto da Blackstar, l’ultimo, estremo disco – quasi un testamento- del duca bianco. Difficile orientarsi nel testo, uno slang di parole incomprensibili da cui però, l’autrice ha preso spunto in un verso «I'm sitting in the chestnut tree» (sono seduto nel castagno) per dare forma alla narrazione del video. Qualcuno ci ha letto un riferimento a Cent’anni di solitudine di Gabriel Garcia Marquez, dove uno dei personaggi vive i suoi ultimi giorni, afflitto da demenza legato a un albero di castagno.
Nel video Soap & Skin appare dentro il tronco di un albero, poi legata a un gigantesco camion come un animale condotto al macello. La violazione della natura, sfracellata dalle macchine, ridotta a oggetto di consumo in un sistema produttivo anonimo e inarrestabile, rimanda senza mezzi termini alla crisi del rapporto uomo e natura. Presentando il video Soap & Skin ha commentato:
«trapped in the labyrinth of furrows in the tree bark we are puny ants, sitting in a chestnut tree living in a butchery».
Intrappolati nel labirinto di solchi nella corteccia degli alberi siamo gracile formiche, sedute su un castagno, vive dentro una macelleria.
Eppure siamo soltanto gracili formiche?
C’è una vita nascosta nell’albero e un’opposizione irriducibile oltre le catene che conducono lontano Anja nel labirinto di una tetra miniera. Parabola dello sfacelo ecologico, ma anche immagine della guerra che in un vorticoso crescendo mangia, una dopo l’altra, le sue vittime.
Ci siamo forse rassegnati a pensare che il sistema contempli anche la possibilità della violenza? Produciamo e vendiamo senza sosta macchine per uccidere, oltrepassiamo, un giorno dopo l’altro, i paletti dalla convivenza civile, faticosamente piantati in decenni di non belligeranza: carri armati, missili ipersonici, bombe a grappolo, mine antiuomo e testate nucleari sono ulteriori ingranaggi che consumano l’umano. Così il video si chiude negli antri di una falegnameria che assomiglia più ad una grande macelleria e che la memoria recente lega alle tetre immagini dell'Azovstal di Mariupol, martellata da una guerra di annientamento.
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Nell'acciaieria di Mariupol (Dmytro Kozatsky) |
«Isn’t it tenderness we all seek?»
Non è la tenerezza quello che tutti cerchiamo?
Ce lo domandano le parole di questo brano che il gruppo dedica a quanti non si sentono visti da nessuno.
«I am the tiny seed you sow, cover me with soil»
Sono il piccolo seme che semini, coprimi di terra
Quale sintesi potrà consegnare il Natale a un mondo che lo separa dalla nascita di Cristo?
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Donne soldate israeliane si fanno un selfie a Gaza. Feb. 19, 2024. (AP Photo/Tsafrir Abayov) |
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