Nell’aula di catechismo metto a
fuoco i giovanissimi che si preparano alla cresima. Poco più che bambini,
dodicenni, dodicenni e mezzo, undicenni che fremono smaniosi sulle seggiole,
col volto ancora pulito da brufoli e fratture interiori. «Presentatevi: io non
vi conosco!». Ma la presentazione è rapida: appena l’età e un nome che sparisce
dietro il brusio dei più scalmanati.
«E tu chi sei?..tutto bene?» In fondo
all’aula - capelli rossi, volto acqua e
sapone - siede stancamente composta una ragazzina con gli occhi arrossati e lo sguardo perso in un punto indefinito. È
disarmata da un’inquietudine che non sembra riconoscere. «Ma che fai? Piangi?» La incalzano i compagni
senza troppa pietà. «no..sono stata in piscina. È l’effetto del cloro».
«Avete ascoltato il Vangelo? Di chi abbiamo parlato poco
fa?»
In chiesa abbiamo appena terminato
la lettura del vangelo della Terza d’Avvento. «Avete ascoltato cosa chiedono a
Giovanni leviti e farisei? » Una piccola catechesi sul precursore si dipana senza
troppa fatica. E già mi accorgo che forse, prima ancora di fare una domanda,
sarebbe stato meglio spiegare chi erano leviti e farisei. «Sei tu il Cristo che
deve venire?» E chi era questo Cristo? Un Cristologia in frantumi e un
rapidissimo excursus sul messianismo possono bastare per dare consistenza al
contesto. Ma i piccoli reagiscono: hanno ascoltato quasi fino al punto di
stupire. Forse le domande sono troppo facili? Conoscono risposte.. ma quale
Gesù conoscono? E quale Gesù gli sto raccontando? Quello della Gregoriana,
quello della mia fede o del CCCC (Compendio del Catechismo Chiesa Cattolica)?
Poi la situazione sembra sfuggire di mano e l’attenzione, scollinati i venti
minuti, avvia a franare precipitosamente. «Giovanni Battista ci ricorda anche
un’altra cosa importante – e l’aggiunta, a dire il vero, prende il sapore di
una mezza ramanzina – il Battista ci ricorda che per conoscere qualcuno occorre
fargli posto, lasciare spazio, mettersi da parte..»
Una volta preti sciorineremo con
facilità insegnamenti morali,
genericamente ortodossi – per carità! - , ma con la facilità di chi ha
sempre in tasca una risposta? Al pensiero salta il sangue alla testa in un
misto di orrore, ma nel frattempo è giunta l’ora della tregua o dei saluti. Una
battaglia vittoriosa? O un’armistizio senza vincitori né vinti? Quando si parla
di Dio ogni verifica passa, in ultima analisi, attraverso i tempi e le strade
dello Spirito. Uscito dall’aula saluto, riordino, recupero sussidi, ma quando
mi affaccio per abbassare le serrande e spengere la luce c’è ancora qualcuno. Non
era il cloro a suscitare lacrime. Accanto alla ragazzina acqua e sapone, l’amica,
dall’aspetto più maturo e l’abbigliamento borghese, è scoppiata in un pianto
dirotto. Un bambino di cinque anni era morto. Ne parlava anche la tv. Ed era
accaduto a Roma, in qualche quartiere poco lontano. La accoglie in un abbraccio
la catechista, ma il dramma la inquieta «…sì, ma aveva solo cinque anni».
Avevo davanti agli occhi
entrambe: la ragazzina in lacrime e l’amichetta inquieta. Le avevo guardate distrattamente,
senza capire il tormento della loro giovane e pulita sensibilità. Entrambe commosse
dal dramma di un bimbo stroncato da una meningite. In silenzio attendo in un
angolo finchè per loro non arriva la calma necessaria per salutare e lasciare
la parrocchia. Forse la mia era una presenza ingombrante. Non è bello piangere
davanti a uno sconosciuto.
«In mezzo a voi sta uno che non
conoscete». Le parole di Giovanni adesso acquistano una pesantezza granitica.
Altrettanta forza assumono quelle di Isaia, la profezia che Gesù applicò a sé
nella sinagoga di Cafarnao: «mi ha mandato a portare il lieto annuncio ai
miseri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli
schiavi, la scarcerazione dei prigionieri, a promulgare l’anno di grazia del
Signore.»
Conoscere Gesù chiede tempo e un
coinvolgimento che supera la conoscenza acquisita sui libri. Conoscere gli
altri chiede tempo e la fatica del fraintendimento. Damien Rice, nell’ultimo
album (My Favourite Faded Fantasy,
2014), dopo anni di silenzio e sfortunate vicende personali, ha sfornato da
poco una canzone che mette a fuoco il problema. Un pezzo di ampio respiro, che
l’amplificazione orchestrale aggancia subito all’emozione. Dice così:
It takes a lot to
know a man
It takes a lot to
understand
The warrior, the
sage
The little boy
enraged
It takes a lot to
know a woman
A lot to understand
what's humming
The honeybee, the
sting
The little girl with
wings
It takes a lot to
give, to ask for help
To be yourself, to
know and love what you live with
It takes a lot to
breathe, to touch, to feel
The slow reveal of
what another body needs
It takes a lot to
know a man
A lot to know, to
understand
The father and the
son
The hunter and the
gun
It takes a lot know
a woman
A lot to comprehend
what's coming
The mother and the
child
The muse and the
beguiled
It takes a lot to
give, to ask for help
To be yourself, to
know and love what you live with
It takes a lot to
breathe, to touch, to feel
The slow reveal of
what another body needs
It takes a lot to
give, to ask for help
To be yourself, to
know and love what you live with
It takes a lot to
breathe, to touch, to feel
The slow reveal of
what another body needs
It takes a lot to
live, to ask for help
To be yourself, to
know and love what you live with
It takes a lot to
breathe, to touch, to feel
The slow reveal of
what another body needs
What are you so
afraid to lose?
What is it you're
thinking that will happen if you do?
What are you so afraid
to lose?
(You wrote me to
tell me you're nervous and you're sorry)
What is it you're
thinking that will happen if you do?
(Crying like a baby
saying "this thing is killing me")
What are you so
afraid to lose?
(You wrote me to
tell me you're nervous and you're sorry)
What is it you're
thinking that will happen if you do?
(Crying like a baby
saying "this thing is killing me")
You wrote me to tell
me you're nervous and you're sorry
Crying like a baby
saying "this thing is killing me"
|
Ci vuole tempo per conoscere un
uomo
Ci vuole tempo per capire
il guerriero, il saggio
Il ragazzino infuriato
Ci vuole tempo per conoscere
una donna
tempo per capire che cosa sta
canticchiando
l’ape, il pungiglione
la bambina con le ali
Ci vuole tempo per dare e per
chiedere aiuto
Per essere se stessi, per
conoscere e amare ciò con cui si vive
Ci vuole tempo per respirare,
toccare, sentire
il lento rivelarsi di ciò che
occorre ad un altro corpo
Ci vuole tempo per conoscere un
uomo
tempo per conoscere, capire
Il padre e il figlio
Il cacciatore e il fucile
Ci vuole tempo per conoscere
una donna
tempo per comprendere cosa sta
per arrivare
La madre e il bambino
La musa e chi è sedotto
Ci vuole tempo per dare e per chiedere
aiuto
Per essere se stessi, per
conoscere e amare ciò con cui si vive
Ci vuole tempo per respirare, toccare,
sentire
il lento rivelarsi di ciò che
occorre ad un altro corpo
Ci vuole tempo per dare e per
chiedere aiuto
per essere se stessi, per conoscere
e amare ciò con cui si vive
Ci vuole un sacco di respirare,
toccare, sentire
il lento rivelarsi di ciò che
occorre ad un altro corpo
Ci vuole tempo per dare e per
chiedere aiuto
per essere se stessi, per conoscere
e amare ciò con cui si vive
Ci vuole un sacco di respirare,
toccare, sentire
il lento rivelarsi di ciò che
occorre ad un altro corpo
Che cosa hai tanta paura di
perdere?
Cosa pensi che ti accadrà se succede?
Che cosa hai tanta paura di
perdere?
(Mi hai scritto per dirmi che
sei nervoso e che ti dispiace)
Cosa pensi che ti accadrà se succede?
(In lacrime come un bambino che
dice “questa cosa mi sta uccidendo”)
Che cosa hai tanta paura di
perdere?
Cosa pensi che ti accadrà se succede?
Che cosa hai tanta paura di
perdere?
(Mi hai scritto per dirmi che
sei nervoso e che ti dispiace)
Cosa pensi che ti accadrà se succede?
(In lacrime come un bambino che dice “questa
cosa mi sta uccidendo”)
|
È vero. Ci vuole tempo per conoscere gli altri e anche se
stessi. C’è un’inquietudine che sale dall’altro o dalle parti remote di noi
stessi e che misura l’ignoranza e la distanza dal prossimo quanto quella dalla
nostra identità. Gesù frantuma la distanza, entra nel campo dell’oggettività,
dell’esperienza. Il Vangelo di questa Domenica, chiude – un po’ a sorpresa, in
effetti – sul tema del battesimo. Perché Giovanni battezza? Non bastano le
parole? Non basta la voce? Per battezzare “in Spirito Santo”, per conoscere la Luce abbiamo bisogno dell’oggettività della
Sua presenza. È la via che ci libera dai cortocircuiti dei propri pensieri,
dalle tentazioni gnostiche che vorrebbero darci la salvezza soltanto attraverso
il dominio della conoscenza. Il brano ritagliato dalla liturgia si arresta
prima, ma poco più avanti, nel quarto Vangelo, il Battista rivela che colui che
viene dopo battezzerà “in Spirito Santo”. È l’incontro oggettivo, “sacramentale”
con Dio che introduce gli uomini alla sua piena conoscenza. L’ignoranza che
accompagna i nostri giorni deve prima fare i conti con l’inquietudine che
rivela il male, con ciò che non è Dio o non è da Dio. Deve fare i conti con la
consapevolezza di una purificazione, di un lavaggio di pentimento. L’inquietudine
conduce di fronte alla nostra identità, ma poi, piccoli e grandi, semplici e
sapienti, abbiamo bisogno di incontrare la vita divina, di fare l’esperienza
dell’incontro con Dio.
Tornati alla misura dei bambini,
che scalpitano nel riso o esplodono nel pianto, Gesù può prenderci per mano,
condurci alla vera sapienza, come il Pedagogo
di cui parlava Clemente di Alessandria nella fanciullezza del cristianesimo. «Vagando nella vita come in fitte tenebre
abbiamo bisogno di una guida eccellente ed esperta. Guida eccellente, non cieca
che, come dice la Scrittura, conduce altri ciechi nel baratro, ma guida dalla
vista acuta e capace di scrutare le profondità del cuore è il Logos» (Il Pedagogo, Libro Primo, cap. III). «La più grande di tutte le scienze, a quanto
pare – prosegue più avanti Clemente in pieno spirito ellenico – è conoscere se stesso; chi infatti conosce
se stesso conoscerà Dio e conoscendo Dio si renderà simile a Lui». L’uomo
innestato in Cristo, “con il quale
coabita il Logos, non altera il suo aspetto, non si trasforma, ha la forma del
Logos, è simile a Dio; è bello, non si adorna. È la vera bellezza, e infatti è
Dio» (ibid. Libro Terzo, cap. I). Così Clemente parla della vita divina
donata dal battesimo che ci «santifica interamente» - come afferma Paolo nella
seconda lettura, e che è la sorgente della gioia che anima questa Domenica (Gaudete! Rallegratevi!). Un sorgente forse
dimenticata, forse torrente carsico che fatichiamo a riconoscere o percepire.
Ma è presenza reale, che cresce e acquista spessore nella vita sacramentale,
attraverso la contemplazione, l’apertura agli altri, la carità – l’altra
bellezza degli uomini come afferma Clemente - . Il prefazio di Avvento descrive
stupendamente questo dinamismo divino: «Ora
egli viene incontro a noi in ogni uomo e in ogni tempo, perché lo accogliamo
nella fede».
La bellezza che descrive Clemente
arriva a noi, in questo tempo di Natale, nella forma di un bambino. Spogliati
delle nostre sovrastrutture, come bambini - ragazzini undicenni, dodicenni o
forse ancora più piccoli- il Signore ci rigenera con la Sua grazia e ci educa
pazientemente: «O grandezza di Dio! O
perfezione del fanciullo! Il Figlio è nel Padre e il Padre è nel Figlio. E come
non sarà perfetta l’educazione data da quel fanciullo la quale si estende a
tutti i fanciulli, educando noi che siamo i suoi fanciulli? Egli tese verso di
noi le sue mani le quali sono oggetto della nostra piena fede. A questo bambino
rende testimonianza anche Giovanni “il più grande fra i nati di donna”: “Ecco l’agnello
di Dio”. La Scrittura chiama “agnelli” i fanciulli di tenerà età; Dio ha
chiamato “Agnello di Dio” Figliuolo di Dio, bimbo tenero del Padre, il Verbo
fattosi uomo per noi, desideroso di farsi in tutto simile a noi» (Il Pedagogo, Libro Primo, Cap. V).
Nessun commento:
Posta un commento