domenica 6 dicembre 2020

La locusta del Battista


II Domenica di Avvento - anno B

C’era quella finestra col vetro rotto e il falegname lì per dare un’occhiata. Spiegavo, raccontavo, indicavo, ma lui fissava la finestra, con i suoi infissi sgangherati e consumati dal tempo. E mentre mi piegavo ad aprire il chiavistello in basso e lui elaborava interventi di falegnameria sfiorando e picchiettando i vetri con le dita, mi sono accorto che stava lì. Agganciata e mimetizzata con la serratura. Una locusta del colore del bronzo, creatura aliena in cerca di riparo dal freddo che da sempre suscita in me il più atavico orrore. Non ho fatto in tempo a vedere la mia faccia sconvolta nel riflesso del vetro. Una faccia come non me la immagino, ma così com'è.

Così però mi immagino il Battista, che punta il dito sull’orrore che ti porti addosso e non ti accorgi. O forse soltanto su quello che non scorgi mai nell’ordinario, ma che sta lì appeso forse da tempo immemorabile ma che appena scopri mette a nudo il tuo volto più profondo. Perché, altrimenti, dare credito a un tipo così alternativo, spingersi nel deserto per ascoltarlo e farsi immergere nell’acqua in un battesimo di conversione?

Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri», vi fu Giovanni, che battezzava nel deserto e proclamava un battesimo di conversione per il perdono dei peccati.

Preparare la via, raddrizzare sentieri. A che cosa? A chi? E come? L’attacco del Vangelo di Marco butta là alcuni attrezzi fondamentali per quest’opera di preparazione. Che poi è una sorta di meccanica dello Spirito in cui il progetto è nella mente e nelle mani di un altro. C’è, d’acchito, l’urgenza di un cambiamento. Niente mezzi termini. Qualcosa sta per accadere e qualcuno sta per arrivare. Preparate la via. Convertitevi.

Ma quest’urgenza non è troppo distante dal sentire di questo tempo. Dalle ansie e dal sentimento collettivo di mesi di emergenza sanitaria mondiale. Un tempo che si può leggere alla luce di una bella poesia in musica, un rap tramutato in esperienza letteraria, che oggi chiamano spoken-word. E che ti punta il dito addosso e rivela qualcosa che fatichi a riconoscere e vedere. Sono i versi di People's Faces di Kate Tempest.

Un altro disastro/ Catarsi / Un altro miraggio mezzo scartato/ Un'altra maschera che scivola via

Per qualcuno serve una locusta ad aprire gli occhi. Per tutti c’è una pandemia mondiale. O meglio, la nostra paura e il nostro limite. Per il Battista lo sguardo si apre nel deserto. Anzi, lì si aprono gli orecchi perché la parola emerge in tutta la sua forza. 

Nel deserto parla di via, di sentieri, di cammino. Ed è una via che ha il sapore agro dell’esodo. Quello archetipico degli ebrei in fuga dall’Egitto verso la terra promessa, quello storico del ritorno da Babilonia, quello spirituale di chi è condotto nella regione del non ordinario, e di lì intende ripartire ricalcolando il percorso. È la via della vita, con i suoi rischiosi fuori pista, e le svolte improvvise, discese a capocollo e salite interminabili.

Il deserto, la via; Giovanni aggiunge il battesimo. Che poi è entrare nell’acqua dopo essersi immersi nella verità dei propri peccati, è il lavacro che arriva dopo aver misurato il proprio disordine, il gesto che sancisce la presa di posizione sulla propria esistenza, sulla novità che entra nella vita. È anche il nostro battesimo — quello sacramentale — forse dimenticato, tradito, rifiutato, ma mai venuto meno. Un dono che fa partecipi della vita divina e che non finiremo mai di perlustrare.

E poi lo Spirito. Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo dice il Battista. L’acqua bagna, la bevo e la vedo, ma lo Spirito Santo quando l’ho mai sperimentato? Forse in un sentire profondo che non so bene da dove spunti in me. Spirito dice già qualcosa di invisibile ma decisivo, come il vento che spazza dai monti alle strade, ma che senti mugghiare e sibilare, ed è capace di scoperchiare tetti ed abbattere alberi secolari. Spirito come realtà mobile, penetrante, vitale, che vive l’irrisolta tensione con il terrestre, o meglio il mondano, con la fissità della propria routine e dei propri schemi di vita.

Ecco bell’e fatto, un piccolo dizionario di vita spirituale alla portata di tutti: deserto, via, battesimo, Spirito.

Le vie del cambiamento cristiano partono da qui. Arnesi per una vita spirituale che solo il Signore sa dove condurre e assemblare. Strumenti di verità su noi stessi e sugli altri.


https://youtu.be/TSMffdtyOwI

Uno sguardo a tratti sgomento e amaro sul mondo di oggi è accompagnato nell’ultimo lavoro di Kate Tempest (The Book Of Traps And Lessons, 2019) da un’apertura di speranza, “rivelazione” di un cambiamento possibile. «In "People's Faces" — confida in un’intervista — dico “sto affondando”. Ed è difficile. È un grido disperato, ma i volti degli altri mi salvano. È la cosa più semplice del mondo, l’espressione amorosa meno complicata possibile. Guardare qualcuno negli occhi. Le persone sono splendide, davvero». 

Pure lei, che ha spesso il dito puntato sulle fratture del nostro tempo, nella sua laica ma umanissima poesia mette insieme un piccolo vocabolario di spiritualità contemporanea.

Dentro c’è la parola “sistema”, espressione forse un po’ consumata ai nostri orecchi, ma comunque efficace per descrivere i perversi meccanismi economico-politici del nostro tempo, ma anche quelle profonde strutture negative che ci portiamo dentro, che per chi crede assumono il nome di “peccato”. C’è la parola “sintomo”, scaturita dalla capacità di cogliere i segnali di disagio di fronte a un paradigma disumano, accompagnata da “sentire”, che è il sentire dentro di sé l’urgenza del grido e del pianto che montano, ma anche un sentire profondo per ciò che si muove fuori di sé: («Sto ascoltando ogni piccolo sussurro in lontananza cantando inni/ E posso sentire le cose/ Cambiare»). C’è la parola “città”, che racconta un’esistenza immersa, tra luci e molte ombre, nelle viscere del metropolitano (Guardo la mia città in un altro giorno difficile / E grido dentro di me / Quando cambierà tutto questo) e che assomiglia un po' al deserto, e poi “carne”, in cui recuperare il senso di una profonda fraternità umana, legata da «un’unica carne», e poi “empatia”, “rispetto”: sentimenti che fioriscono da uno sguardo contemplativo sul volto degli altri. Eccole, infine, le parole “volto”, “faccia”. Un piccolo vocabolario che custodisce una traiettoria interessante, perché dal sistema porta alla persona, al volto.

 



«Non ci saranno nuovi inizi

finché tutti non vedranno che le vecchi modi di fare devono finire»

Ma è difficile accettare di essere tutti un’unica carne. Date

le divisioni dilaganti tra oppressori e oppressi

Ma lo siamo.

 

Più empatia

Meno avidità

Più rispetto

 

(…)

 

Sono tutta spirito ma sto affondando

Perché i nostri giorni non sono giorni ma strani sintomi

Questo è il nostro tempo

 

Sto ascoltando ogni piccolo sussurro in lontananza cantando inni

E posso sentire le cose

Cambiare Questo è il nostro

Tempo ma il nostro tempo è la rabbia che affonda nel beige

E sì i nostri figli sono coraggiosi

Ma la loro missione è vaga

Ora non ho le risposte

Ma ci sono ancora cose da dire

Guardo la mia città in un altro giorno difficile

E urlo dentro di me

Quando cambierà questo

Sto cominciando a svanire

Ma la mia sanità mentale è salva, perché posso vedere i vostri volti La

mia sanità mentale è

salva Perché posso vedere i vostri volti

 

Niente di tutto questo era scritto nella pietra

La corrente è veloce ma il fiume si muove lentamente

E posso sentire le cose cambiare

Anche quando sono debole e mi sto spezzando

rimango a piangere alla stazione

dei treni Perché posso vedere i vostri volti

Amo i volti delle persone

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