domenica 13 dicembre 2020

Segnali nella notte


«Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce». E questo fa pensare che il Vangelo di oggi si capisca meglio nelle tenebre. «In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete». «Ecco, guardi priore, questo è proprio per me. È quello che vivo io». Lo ripete con il capo basso, seduto sulla panca in fondo alla chiesa. Con lo sguardo perso non so bene dove. Rintanato nel piumino con ai piedi le pantofole e per pantaloni il pigiama. Un’anima smarrita, per una vita di ferite ed errori che si avvolgono su se stessi. Ma io devo parlare della gioia, perché questa è la domenica Gaudete, nella quale la liturgia ci invita a rallegrarci, e poi c’è il rosa, che non è viola e c’è il Natale che si avvicina e  infatti c’è anche il presepe. E poi penso all’uggia che posso fare con questi discorsi, e all’uggia che mi facevano i predicatori di gioia dalla faccia triste. E un po’ anche a quella che posso avere io qualche volta. Però a guardarmi intorno la gioia non è facile rintracciarla, perché la chiesa è semi vuota e ci piove dentro e c’è un freddo che tiro via a finire prima che mi si ghiaccino i piedi. 

«Io sono voce di uno che grida nel deserto: Rendete diritta la via del Signore, come disse il profeta Isaìa». Così dice di sé il Battista, dopo che per tre volte ha fatto sapere quello che non è. Non il Cristo, non Elia, non un profeta. Un’identità che si capisce per via di negazione. Soltanto sfrondando ogni incrostazione, rimuovendo ogni maschera e proiezione si capisce il Battista e il Battista capisce se stesso. 

Ho l’impressione che lo stesso sia chiesto pure a noi. Perché appaia la reale misura della nostra identità occorre stare sulla soglia di una verità paradossale, quella dell’umana miseria e di un’attesa infinita, quella di una fragilità ontologica e del desiderio di una nuova vita, quella della consapevolezza di accrescere l’entropia e di essere, allo stesso tempo, spazio d’azione della grazia. Allo stesso modo per essere veri testimoni, autentici "ripetitori" del Vangelo, occorre togliere ogni realtà che disturbi la frequenza. Lo sperimentiamo con forza in questi mesi di paure ataviche e isolamento. È proprio nelle tenebre dell'anno di grazia 2020 che deve arrivare la luce, risuonare la voce e avvicinarsi il Natale. 

Su queste corde batte la poetica della soglia che attraversa Orphée, l’ultimo disco di Johann Johannsson, compositore islandese scomparso prematuramente due anni fa a 48 anni. Di soglia si parla per via del mito di Orfeo, che con la sua musica è capace di riportare in vita l’amata Euridice, per poi perderla di nuovo, ma imprimendo nella storia del pensiero la potenza fascinante delle arti e in particolare della musica. Lo ammetteva lo stesso Johannsson, spiegando che Orphée «ha a che fare con le soglie – tra mondi, tra luce e tenebra, tra estremi». È la soglia evocata nel video “Song for Europa”, dove la soglia attraversata da Orfeo si trasforma in «quella che passava attraverso due mondi e due ideologie (…). Dopo pochi decenni di relativa calma — spiegava Johansonn — sembra che l’Europa lentamente torni a separarsi e che stiamo entrando in tempi turbolenti o almeno sulla soglia di qualche cambiamento più grande». 


https://youtu.be/dCWbVxfkoKg

Nel videoclip, ambientato in un ambiguo passato che richiama alla mente gli anni della guerra fredda e il muro di Berlino, un’antenna radio lancia segnali che attraversano lo spazio in luminose onde sonore. Dall’abisso di lontananze indefinite affiorano segnali in codice, numeri pronunciati in tedesco, messaggi criptati da imprecisate emittenti radio. Voci capaci di spalancare inedite suggestioni, ma anche di arrivare lontano, oltre le barriere del tempo e dello spazio, oltre i muri degli uomini e le difese dell’anima. Un segnale che arriva. Una luce che raggiunge. Si spalanca un mondo che apre un orizzonte ancora da decifrare.

Un messaggio di speranza che chiede di tendere l'orecchio, ma che passa ogni distanza. Ci ripenso e ripenso alle tenebre e alla domenica della gioia. Finché non mi arriva il disegno che ha fatto S., dove si vede la sacra famiglia raccolta attorno a un neonato Gesù bambino. Sotto c’è una frase che nella sua semplicità fa lasciare ogni esitazione: «Giuseppe e Maria sono felici di Gesù». 

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