lunedì 16 dicembre 2013

Segnalazioni Stonate 4.0 | Avvento 2013 | Vangelo della Messa dell'Aurora


C’è movimento tra cielo e terra: gli angeli una volta consegnato il loro annuncio risalgono alla gloria da cui sono scesi, mentre i pastori, incuriositi da un avviso imprevisto si incamminano nella notte: “Andiamo”, “Vediamo” ed essi “andarono senza indugio”. È facile immaginarli procedere col passo svelto di chi corre incontro ad un amico che l’aspetta. Chi corre incontro ad una persona cara – un passo dopo l’altro- sente che cresce il desiderio, avverte di pregustare già l’abbraccio che l’attende. E se invece, bruciando ogni tappa, in un secondo ci trovassimo già a destinazione, smaterializzati da un posto all’altro con un servizio di teletrasporto stile Star-Trek?

Non so se gioverebbe. Nel tempo del cammino sgombriamo la mente, ci predisponiamo all’incontro, abbiamo perfino il tempo di pensare alle parole migliori e predisporci alla recettività di un momento significativo.

La nostra giornata è zeppa di micro-viaggi, di tragitti minimi in cui non andiamo incontro a nessuno spostandoci da un luogo ad un altro. Tragitti concreti: casa-scuola, lavoro-casa. Percorsi vissuti sull’autobus o in auto imbottigliati nel traffico, segnati da pedalate furiose e soste prolungate lungo i binari della stazione. Movimenti vuoti che trascolorano uno nell’altro nei segmenti indistinti delle nostre giornate. Momenti così non li ricorderemo più dopo qualche minuto, inghiottiti nella ripetizione, assorbiti nel ciclo del sonno, dei pasti banali, del bagno e della doccia. Sarà anche per questo, perché perdiamo il senso della misura che separa le stagioni brillanti e significative dell’esistenza che quando le andiamo a ripescare nella memoria le troviamo distanti l’una dall’altra come ere geologiche. Agostino è il capofila dell’innumerevole schiera di esploratori e narratori della memoria che hanno inciso a fondo nella cultura d’occidente.

La facoltà della memoria è grandiosa. Ispira quasi un senso di terrore, Dio mio, la sua infinita e profonda complessità. E ciò è lo spirito, e ciò sono io stesso. Cosa sono dunque, Dio mio? Qual è la mia natura? Una vita varia, multiforme, di un'immensità poderosa. Ecco, nei campi e negli antri, nelle caverne incalcolabili della memoria, incalcolabilmente popolate da specie incalcolabili di cose, talune presenti per immagini, come è il caso di tutti i corpi, talune proprio in sé, come è il caso delle scienze, talune attraverso indefinibili nozioni e notazioni, come è il caso dei sentimenti spirituali, che la memoria conserva anche quando lo spirito più non li prova, sebbene essere nella memoria sia essere nello spirito; per tutti questi luoghi io trascorro, ora a volo qua e là, ora penetrandovi anche quanto più posso, senza trovare limiti da nessuna parte, tanto grande è la facoltà della memoria, e tanto grande la facoltà di vivere in un uomo, che pure vive per morire” (Confessioni, X, 17,26).

Adam Elsheimer (1578–1610), Fuga in Egitto, 1609, Monaco di Baviera, Alte Pinakothek 
Se attraversiamo il santuario vasto, infinito della memoria alla ricerca degli episodi della nostra infanzia abbiamo l’impressione di raggiungere lontananze abissali, il pleistocene della nostra storia. Chi accompagnava quei giorni ci appare oggi in una luce strana. Forse ci accompagna ancora oggi, come il babbo o una sorella, ma forse la vita lo ha incamminato per sentieri separati. I tratti assunti in quell’epoca lontana assomigliano alle ricostruzioni di specie fossili compagne della nostra protostoria. È un po’ il concetto che - non troppo apertamente a dire il vero- vorrebbe trasmettere Justin Vernon, folk singer statunitense frontman dei Bon Iver in Holocene, una delle hit più raffinate del 2011. L’Olocene, secondo la Treccani, è l’era geologica che inaugura la nostra storia e che si ferma circa 10.000 anni fa. «Olocene è un bar di Portland nell’Oregon, - prova a spiegare Vernon - ma è anche il nome di un’era geologica, un’epoca se volete (…) La maggior parte della nostre esistenze sono un po’ come queste epoche. Questo, più o meno, quel che vuol dire quella canzone. “E all’improvviso ho scoperto di non essere splendido”: le nostre vite possono sentirsi come queste epoche, ma in realtà sono soltanto polvere al vento. Eppure penso che ci sia un senso in questa insignificanza, ed è quello che ho cercato di descrivere con quella canzone».

In quel bar di Portland Vernon racconta di aver trascorso “una notte oscura dell’anima”. Ma in Holocene non c’è solo oscurità: “è anche una canzone che parla di redenzione e di quando capisci che vali qualcosa, che sei speciale e non troppo speciale allo stesso tempo”.

Il testo, difatti, gira attorno un indefinito viaggio della memoria sopra le corsie della vita in cui si alternano ricordi e situazioni puntuali e indistinte allo stesso tempo. Non se ne ricava molto e non è neppure facile tentare una traduzione. Conviene lasciarsi suggestionare dalle immagini e dalla melodia senza chiedere al testo ciò che non può dare.

E all’improvviso ho scoperto di non essere splendido
Sperduto lontano sulle corsie dell’autostrada
(vuoto frastagliato, denso e con ghiaccio)
Potevo vedere per miglia, miglia e miglia

Tra la Terza strada e il lago il salone è andato tutto bruciato
Era dove abbiamo imparato a festeggiare
Quella notte mi hai suonato “Lip Parade”
Né ago né filo, il certificato smarrito
Non dir nulla, questo mi basta

E all’improvviso ho scoperto di non essere splendido
Alto e lontano sopra le corsie dell’autostrada
(vuoto frastagliato, denso e con ghiaccio)
potevo vedere per miglia, miglia e miglia

La Notte di Natale, ha afferrato la luce, un santo splendore
su mio fratello, io e spine intrecciate
abbiamo coperto tutto per renderlo quello che doveva essere
per scoprirlo adesso nei miei ricordi

E all’improvviso ho scoperto di non essere splendido
Alto sopra le corsie dell’autostrada
(vuoto frastagliato, denso e con ghiaccio)
Ma potevo vedere per miglia, miglia e miglia


Il video che accompagna il brano dei Bon Iver è molto suggestivo. Un bimbo attraversa solitario paesaggi mozzafiato in una terra artica. Un’Islanda da sogno che sembra ritagliata da un documentario del National Geographic? Un viaggio sospeso che sembra senza tempo: oggi, domani, milioni di anni fa? Una rivelazione si sprigiona dalla bellezza del creato e raccoglie il gioco libero e felice del bambino che si diverte con gli elementi. Un’esperienza originaria di libertà che diventa canto libero dell’anima quando, sul finire del brano, un’aquila sembra prendere il volo dalle sue mani e librarsi oltre il limite del mare e “per miglia, miglia e miglia” fino all’infinito. Un sogno? Un desiderio di infinito? La contemplazione davanti alla finestra di camera, all’aprirsi del video, sembra quasi suggerirlo.
Anche nei tragitti angusti e ripetitivi dei giorni qualunque è possibile sollevare lo sguardo per miglia e miglia sopra l’orizzonte, al di sopra delle nostre miserie e dei propri limiti. 


Nel Vangelo della messa Natalizia dell’Aurora tutto ruota attorno il viaggio esteriore e interiore della Parola. Una parola prima rivelata dagli angeli, poi annunciata dai pastori, infine custodita nel cuore da Maria. Il testo greco infatti, usa lo stesso termine per indicare tutto questo attraverso una radice che ha a che fare con l’espressione verbale, con la cosa detta, ma che in italiano è restituita come “avvenimento”, quindi compresa in “ciò che del bambino era stato detto loro”, infine con “tutte queste cose” per indicare l’oggetto della meditazione di Maria. 

Anche a noi, come ai pastori, qualcuno si fa incontro nella parola, ci supera ma ci fa sentire davvero speciali, perché arriva per noi e per ognuno in particolare. Che giova tornare ogni anno al mistero del Natale se, consapevoli dell’incarnazione, del fatto che Dio si è fatto uomo per intrecciare umano e divino, non alziamo più alto lo sguardo?
Anche Maria, ripartita da Betlemme con il suo misterioso bambino, si incamminava per le strade della Palestina verso percorsi ordinari, forse banali come quelli di tutti di cui i Vangeli non fanno una parola. Da quella notte però, ci racconta Luca, Maria ha custodito tutto nel cuore, provando a leggere ogni cosa da più alte prospettive, legando le epoche della sua esistenza e della storia degli uomini attorno a quell’evento luminoso.

 * * *
Vangelo Lc 2,15-20
Dal vangelo secondo Luca
Appena gli angeli si furono allontanati da loro, verso il cielo, i pastori dicevano l’un l’altro: «Andiamo dunque fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere».
Andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro.
Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore.
I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro.

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