Sul treno, nel tempo sospeso del viaggio, ci perdevamo in
discussioni di cui, forse, non avremmo parlato altrove. “Questi tempi sono
strani e cupi – dicevo io col tono grave di chi crede di aver capito qualcosa –
che ci aspetta?”. L’amico inteccava nella risposta, tradendo l’emozione di un
concetto profondo: “Ormai mi aspetto solo l’Apocalisse”.
Beate adolescenza! In quello strano tempo della
giovinezza si moltiplicano i segni del cambiamento: ci sono paura, speranza,
desiderio di novità, si intreccia tutto e il suo contrario. E tutto potrebbe
accadere. Anche l’Apocalisse. Col tempo abbiamo dimenticato il nostro
sentenziare per tuffarci distratti nel tempo meno sospeso dei giorni. Ma “il
giorno è arrivato quando non ci facevamo più caso”. Una piccola apocalisse ci
ha sorpreso comunque. Qualcuno si è fatto prendere dalle paure e dall’angoscia,
qualcuno si è perso, qualcuno ha trovato la sua strada, qualcuno è rimasto, qualcuno
si è ritrovato. Ne parla il Vangelo di questa prima domenica di Avvento. Non servono epidemie o strategie del terrore a
sconvolgere le nostre esistenze, la
paura e l’ansia verdeggiano dove il tempo è vuoto e l’attesa indefinita.
Subiamo entrambi senza capire, così i segni passano e non li sappiamo
interpretare.
Ai tempi di quel viaggio dilagava il post-rock, etichetta che per qualcuno, a dire il vero, era già da archiviare. Ma è noto che i cultori delle definizioni e delle tassonomie dilagano soprattutto in ambito musicale. Un guru della critica musicale attuale assicura che: "una band viaggia dal rock al post-rock generalmente passando da una fase vocale ad una creazione di trame e paesaggi sonori che si confondono con il resto della strumentazione". Al tecnicismo di nicchia, però, andrà affiancato, nel sentire di molte band, tutto il pathos di disillusione e la protesta di una generazione che varcato il Duemila non ha saputo che farsene del nuovo Millennio. Anche perché il continuo “post-qualcosa” (età post-atomica, post-comunista, post-moderna, etc..) rinnova il corto circuito della delusione.
L’ascolto della loro discografia non rasserena. Le
melodie, perfette colonne sonore di un tempo di crisi, si dibattono spesso tra
la luce e il buio. E alla fine rimane molto buio. La tensione che brucia nei
loro testi, però, si carica spesso di toni biblici o si leva in un grido come
una preghiera. Così difatti, si ascolta in una brano (diviso in due parti) dall’emblematico
titolo “What We Love Was Not Enough”:
E il giorno è arrivato quando non ci facevamo più caso
E il giorno è arrivato quando non ci facevamo più caso
…
Ci sarà la guerra nelle nostre città
Ci saranno rivolte al centro commerciale
Ci sarà del sangue alle nostre porte
E terrore nelle sale da ballo
Tutte le nostre città bruceranno
Tutti i nostri ponti si sfracelleranno
Tutti i nostri spiccioli andranno a marcire
Ci sarà fango sulle nostre tracce
..
Poi l’occidente risorgerà
Poi l’occidente risorgerà
Poi l’occidente risorgerà
Quanto abbiamo amato non era abbastanza
Quanto abbiamo amato non era abbastanza
Quanto abbiamo amato non era abbastanza
San Luca mi perdonerà se lo accompagno a queste parole ma, come vuole la tradizione, un po’ artista era anche lui e, in
fondo, è la Scrittura stessa a ispirare da millenni poeti e cantanti.
«Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e
sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti,
mentre gli uomini moriranno per la paura e per l'attesa di ciò che dovrà
accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte.
Allora vedranno il Figlio dell'uomo venire su una nube
con grande potenza e gloria.
Quando
cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la
vostra liberazione è vicina.
(..) Vegliate in ogni momento pregando, perché abbiate la
forza di sfuggire a tutto ciò che sta per accadere, e di comparire davanti al
Figlio dell'uomo».
http://www.youtube.com/watch?v=xZoLDIal7vk |
Ogni nostro momento può trasformarsi nell’attimo che
indica l’apocalisse. A me capita: non capisco, subisco il tempo e i suoi segni,
mi abbatto, forse mi arrabbio, ma con gli occhiali della preghiera perseverante
tutto si mette a fuoco e i segni dei tempi si rivelano segni di Dio. Un
incontro, una lettura, un imprevisto, la luce del sole, il rumore del vento. La
trama del mondo lascia affiorare un piano diverso che appartiene a Dio.
Scavalcata l’adolescenza si prospettano ulteriori apocalissi piccole e grandi, ma
se le spalle non si fanno più robuste, la vista si allena e la speranza
cristiana tiene alta la testa. Anche “l’occidente risorgerà”, ma a quali
condizioni?
Ricordo che al tempo di quel viaggio in treno – poco prima?
Poco dopo?-, alla Giornata Mondiale della Gioventù di Toronto (2002) Giovanni
Paolo II invitava ad essere luce del
mondo con quel guizzo poetico a lui congeniale: “anche una fiamma leggera che
s'inarca solleva il pesante coperchio della notte”. Una piccola luce, come
quella della preghiera, o come quella della nostra prima candela d’Avvento.
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