Romanzo di formazione in tre parti.
2. ALLENARSI
Li osservo scivolare sul pelo dell’acqua con viva
ammirazione, come se deposto ogni fardello e superata ogni incertezza
rivelassero un’umanità bella, forte ed entusiasta.
Anche il seminarista in vacanza si allena. Forse gli addominali
non si sono fatti scultorei, né i bicipiti più tonici. Anzi, corre il rischio
di avere quelle manine gracili e sottili, lisce e senza calli fatte apposta per
reggere il peso dell’ostia. “Mi pare a
me che avete trovato un bel lavorino…” diceva il nonno (che aveva le manone forti e grosse da
contadino) apostrofando il seminarista e il suo mentore. Eppure anche il
seminarista si allena. Lo ha detto pure il Papa ai giovani riuniti a Rio de
Janeiro : “noi ci alleniamo per ‘essere
in forma’, per affrontare senza paura tutte le situazioni della vita,
testimoniando la nostra fede”. Un allenamento fatto di preghiera e
sacramenti, ma sperimentato anche “attraverso
l’amore fraterno, il saper ascoltare, il comprendere, il perdonare,
l’accogliere, l’aiutare gli altri, ogni persona, senza escludere, senza
emarginare”. Un allenamento da praticare tutti i giorni più volte il
giorno: specialmente a Pasqua e a Natale.
seminarista in allenamento fisico |
E’ durante la vacanza che il
seminarista misura la propria costanza e fedeltà all’allenamento. D’altra parte
è noto come l’estate, oltre ad essere il campo del demonio -come si ricordava
affabilmente ai seminaristi di un tempo-, sia il banco di prova migliore per
misurare l’efficacia del seminario. Se il cammino avanza (o si interrompe) perché
il discernimento funziona avviene qualcosa di strano.
Gli antichi, si dice,
pensavano che l’orsa donasse la forma ai suoi piccoli leccandoli ripetutamente
e stringendoli a sé. Se il seminario fa il suo lavoro anche al seminarista
avviene qualcosa di simile. Il suo aspetto esterno forse non è così alterato,
ma dentro, nell’animo di ogni chiamato Dio ha agito con solerte pazienza. Non è
per via di quella faccia un po’ così, o per le sue pose devote da
capo-chierichetto. Non è più possibile vivere senza di Lui. Non si tratta di
far abdicare la volontà o, peggio, di lavaggio del cervello. Dio si fa spazio
nella sua vita. Come si fa spazio nella vita di chiunque desideri la sua amicizia
e accolga il suo amore. Per il seminarista in vacanza, di anno in anno, tutto è
segno di grazia: Dio lo conduce.
D’estate, con più ampia libertà, può postare su facebook il
ricordo delle memorie dei santi, frasi ad effetto estratte dai discorsi
pontifici, taggare le foto degli amici dispersi nell’orbe cattolico e proporsi
in versione giovanotto da spiaggia, seppure con un’espressione un po’ più
concentrata e meditativa. Eppure negli incontri, nei momenti di convivialità,
nelle chiacchierate con gli amici Dio chiede spazio, domanda dolcemente di
entrare anche lì. Quando il seminarista saluta tutti e torna a casa resta il
desiderio di aver parlato di Lui, di averlo almeno portato con sé. Il riferimento ideale non è il rappresentante
porta a porta di aspirapolvere miracolosi, ma la trasparenza di una vita
donata. Traguardo che è dono e che presuppone il cammino di un’intera esistenza
in Lui e dunque, la cura perseverante dell’interiorità.
"cane della coscienzia" |
Il seminarista in
vacanza può coltivare con grande cura questo intimo orticello. Ne parlava anche
Santa Caterina da Siena: “Noi siamo un
giardino, o veramente orto, del quale giardino e orto n'ha fatto ortolano la
prima Verità la ragione col libero arbitrio; la quale ragione e libero
arbitrio, coll'aiutorio della Divina Grazia, ha a divellere le spine de' vizi,
e piantare l'erbe odorifere delle virtù.” Un giardino che occorre custodire
col “cane della coscienzia; e sia legato
alla porta, sicchè, se i nemici venissero, e l'occhio dell'intelletto dormisse
il cane abbai”. Un orticello che il seminarista in vacanza rischia di
coltivare a suo piacimento ripetendosi “è mio! ..sono io!”. Per questo “Conviensi dargli mangiare a questo cane, acciocchè
sia ben sollicito; e ‘l cibo suo non è altro che odio e amore, portato nel
vasello della vera umiltà, e tenuto con la mano della vera pazienzia”. E
tanto diventa cauto questo cane, che, “eziandio
passando gli amici, abbaia, perchè l'intelletto si levi a vedere chi eglisono,
e discernere se sono da Dio o no. E così non potrà essere ingannato l'ortolano,
nè rubato il giardino; e non verrà il nemico a seminargli la zizzania dell'amor
proprio” (Lettera all'abbate Martino di Passignano dell'ordine di Valle
Ombrosa).
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